16 Gennaio 2025
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Personaggi

Attorno a “Lessico famigliare”: Natalia Ginzburg e la storia dei Levi

01.01.2025

Riconoscersi come famiglia attraverso le parole: nel suo “Lessico famigliare” la scrittrice Natalia Ginzburg ricostruiva i ricordi famigliari, intrecciati con le vicende storiche dell’Italia fascista.

Nel suo romanzo familiare, di sé stessa c’è molto poco. È una scelta, non un caso, e lo spiegava così, con lucida onestà narrativa: «“Lessico famigliare” è un libro di memorie. Tuttavia, io stessa vi sono ben poco presente: è piuttosto la storia della mia famiglia». L’opera è dedicata a raccontare delle persone che attorno a lei orbitavano, come famigliari e come amici, che diventano i personaggi di una storia in cui il volto dell’autrice-narratrice si annulla quasi del tutto, perde corporeità e diventa solo parola.

Le coordinate del libro sono note: “Lessico famigliare”, scritto in pochi mesi, da settembre a dicembre, è stato pubblicato per Einaudi – casa editrice che la Ginzburg collabora a fondare – nel 1963 e nello stesso anno, dopo essere stato presentato da Alberto Moravia, ha vinto il Premio Strega. È il libro più noto della Ginzburg e anche uno dei canonici della letteratura del secondo Novecento italiano, appartenente a un decennio turbolento, che raccoglie l’eredità della letteratura post-bellica degli anni ’50 e si apre alle esperienze neoavanguardiste degli anni ’60. Il cognome originario della scrittrice è Levi, con il matrimonio acquisirà il cognome del primo marito, Leone Ginzburg, vivace intellettuale antifascista che nel 1943 muore torturato in carcere. La Ginzburg appartiene a una famiglia torinese di origine ebrea. Il padre è Giuseppe Levi, un uomo di scienza, docente universitario e politicamente impegnato, di orientamento socialista. Durante gli anni del regime sarà incarcerato, lascerà Torino e il lavoro, sarà costretto a spostarsi in altre città italiane e all’estero, ma, come anche accade per i figli, i fratelli di Natalia, sopravviverà alla guerra e al regime e potrà tornare alle sue attività negli anni del dopoguerra. È la stessa Natalia a scontare in prima persona il costo dell’opposizione al Fascismo: tra il 1940 e il 1943 sarà mandata al confine, in Abruzzo, con il marito. La casa torinese dei Levi era frequentata da intellettuali di spicco dell’epoca e da figure storicamente note e importanti: la Ginzburg racconta, ad esempio, dei rapporti con Filippo Turati, che in casa Levi trovò rifugio, e con Adriano Olivetti, che sposò Paola Levi, sorella di Natalia.

Ma messe da parte le faccende storiche importanti, risalenti agli anni Trenta e Quaranta, che conosciamo e che ripercorriamo seguendo il racconto, ciò che resta è un libro di famiglia, le vicende di un padre, una madre e i loro figli, che si riconoscono nei gesti e nelle parole, nel “lessico”, cioè. Eugenio Montale ne scriveva in un vecchio articolo di giornale: «Se esiste un gergo specifico in ogni gruppo familiare, si può credere che nella casa del professor Giuseppe Levi, detto Pomodoro forse perché era rossolionato di capelli, il gergo fosse anche uno dei cementi affettivi di quel gruppo». È così. I rapporti familiari che vengono ricostruiti nei lacunosi frammenti memoriali si fondano sulla riconoscibilità di parole o espressioni. C’è un passo che resta sempre emblematico ed esemplificativo, e dice così: «Quando ci incontriamo, possiamo essere, l’uno con l’altro, indifferenti o distratti. Ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase: una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte, nel tempo della nostra infanzia. […] Una di quelle frasi o parole, ci farebbe riconoscere l’uno con l’altro, noi fratelli, nel buio d’una grotta, fra milioni di persone. Quelle frasi sono il nostro latino, il vocabolario dei nostri giorni andati».

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