08.06.2023
Nell’era dei Big Data anche il pallone rotola verso l’intelligenza artificiale, ma il calcio non è una scienza esatta, e il fatto che venga affidato (anche) a un computer spaventa i tifosi.
Probabilmente Paolo Maldini ha sbagliato persona. Anzi, genere. Pensava che il suo attuale antagonista fosse Stefano Pioli, che lui ha tanto voluto e difeso fino a quando uno scudetto ha amplificato la sensazione di grandezza. E invece ha sbagliato i calcoli: l’ormai ex manager, ma sempre mito, rossonero avrebbe dovuto pensare che alla fine lo avrebbe cacciato un nemico invisibile. Ovvero un algoritmo.
Il calcio di oggi ormai è questo: si fa tanto storytelling, ma a contare sono sempre di più i numeri. Quelli del denaro, ovvio, ma non solo. E l’ingresso come consulente di Billy Beane, voluto da Gerry Cardinale, è il segnale che nell’era dei Big Data anche il pallone rotola verso quella parte. All’annuncio si sono subito spesi fiumi d’inchiostro per raccontare l’incredibile virata tecnologica dello scouting, ma non è che poi il tutto sia una grande novità: non è necessario aver visto il film Moneyball – quello in cui Brad Pitt impersona proprio Beane – per sapere che l’acquisto dei calciatori in base a dei parametri statistici sia una tendenza del Nuovo Millennio. Basta andare, per dire, nella sede di molte squadre di serie A.
E allora: perché Maldini non è più “direttore dello sviluppo strategico dell’area sport” (una volta bastava direttore sportivo) del Milan? Sarebbe da chiedere all’intelligenza artificiale, visto che ormai comanda anche nel calcio, senza essere, nel caso specifico, neanche troppo intelligente. Eppure, il fattore umano non manca: aver vinto un campionato non è servito a farsi piacere a un proprietario più attento al fatto che i suoi soldi fruttino bene e subito.
Maldini dirigente non è stato impeccabile (la gestione dei casi Donnarumma, Kessie e Calhanoglu, per dire), e paga l’ultimo calciomercato quasi fallimentare. Poi però, non è che De Ketelaere lo allenasse lui, ma di sicuro perdere 4 derby di fila è un record che pesa sul curriculum. Voleva l’America (dicono Pirlo al posto di Pioli, più altri acquisti di livello), ha trovato l’americano. Non è finita bene.
Insomma: il calcio non è una scienza esatta, e il fatto che venga affidato (anche) a un computer spaventa i tifosi. Figuriamoci, poi, se questo computer dipende da uno che arriva dal baseball. Bean è diventato una storia proprio per questo, da quando ha preso in mano gli Oakland Athletics rivoluzionandoli a colpi di mercato basato sull’analisi statistica personale dei giocatori. È la sabermetrica, si chiama così, che però nel calcio non è che abbia funzionato così bene: in Olanda, con l’AZ, benino; in Inghilterra, col Burnley, un disastro. Insomma, niente miracolo Lipsia (ricordate Ragnick?), e poi – diciamolo – non è che gli Athletics lo siano, visto che alle World Series della MLB non ci vanno da 23 anni. Però la formula Bean – spendere poco per avere (forse) tanto – è vincente per Cardinale, così una bandiera come Paolo può essere semplicemente flaggata, e magari Billy Bean alla fine riuscirà nel suo intento. Anche se il sottotitolo di Moneyball è “The Art of Winning an Unfair Game”.
E che il gioco sia diventato sleale, Maldini ora ce l’ha abbastanza chiaro.