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Esteri

Biden a Tel Aviv, missione-lampo per salvare gli Accordi di Abramo

20.10.2023

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, Washington, DC, USA.

L’antipatia per Netanyahu e il missile caduto sull’ospedale di Gaza non smuovono di una virgola la determinazione americana di sostenere Israele in Medio Oriente fino in fondo. L’arrivo di Biden a Tel Aviv è un’ulteriore conferma, oltretutto operativa, di quello che sono i fatti: difendere il lavoro compiuto fino adesso, in primis gli Accordi di Abramo in vista delle prossime elezioni americane. I tre punti focali di Gregory Alegi.

Qual è il significato del viaggio-lampo di Joe Biden a Tel Aviv nel pieno della crisi innescata dalla strage di civili israeliani da parte di Hamas? Per capirlo, è necessario ricordare che i viaggi dei presidenti Usa sono, dal punto di vista organizzativo, operazioni militari di media complessità. Anche nel Paese più tranquillo del mondo, logistica e sicurezza richiedono mesi di pianificazione, lo spostamento di auto blindate (The Beast) e di elicotteri, lo spostamento di forze speciali e persino la saldatura dei tombini sul percorso. Tutte precauzioni che per una volta sono state compresse in pochi giorni, oltretutto accettando il rischio di cacciarsi in una zona di guerra attiva. Basterebbe questo per comprendere l’importanza attribuita alla trasferta mediorientale. In effetti, i fronti erano almeno tre.

Il primo e più ovvio: il sostegno visibile al proprio alleato, unica democrazia di quella regione e perciò sempre sotto attacco. Incontrando Bibi Netanyahu, che non ha mai amato, Biden ha segnalato agli arabi che gli Usa non scaricheranno mai Israele. Incidentalmente, lo stesso messaggio vale verso la sinistra israeliana, facendole comprendere di non voler subordinare l’appoggio al Paese alla sostituzione dello sgradito premier.

Il secondo punto, altrettanto chiaro, è difendere il lavoro compiuto negli ultimi anni dalla diplomazia statunitense. Impedire una risposta troppo dura significa salvare gli “accordi di Abramo”, siglati quasi quattro anni fa da Israele con Emirati Arabi Uniti e Bahrein, ai quali era ormai prossima la firma di un secondo accordo con l’Arabia Saudita. L’accordo è stato congelato, ma le sue premesse e obbiettivi restano validi e – spera Washington – saranno firmati non appena calmate le acque.

Terzo e ultimo punto, la politica interna USA. Dimostrandosi assertivo e coraggioso, Biden lancia un messaggio in vista delle presidenziali 2024, alle quali si presenterà con 82 anni compiuti. Le difficoltà dei repubblicani, incapaci di selezionare il nuovo “speaker” (presidente) della Camera dei rappresentanti, amplificano il messaggio, così come il freschissimo patteggiamento dell’avvocato Sidney Powell per la truffa elettorale in Georgia.

Nonostante il razzo caduto sull’ospedale di Gaza abbia fatto saltare le importanti tappe in Giordania ed Egitto, il viaggio di Biden è complessivamente riuscito. I messaggi lanciati sono chiari e bilanciati (risposta sì, vendetta no; pacchetto di aiuto per Israele, ma con una piccola quota per i palestinesi), la determinazione chiara, l’empatia forte con i parenti delle vittime di Hamas.

Basterà? È difficile dirlo, non solo perché molto dipende da attori diversi da Biden, ma anche perché in molti lavorano attivamente per farlo fallire e riportare in vantaggio la Russia e i politici sovranisti da essa sostenuti. Da qui alle presidenziali manca ancora un anno, mentre il conflitto arabo-israeliano dura dal 1948. Basterà?

Credito fotografico: Chris Kleponis, CNP

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