18.07.2024
Ha il mare nel sangue e De Andrè nel cuore. Co-conduttore di Sanremo nel 1987 e nel 1988, Carlo Massarini è per molti l’uomo che ha fatto conoscere Bruce Springsteen agli italiani, per tutto il popolo della penisola è e rimarrà Mister Fantasy.
«Non ho fatto il battesimo nelle acque del Giordano, ma in quelle di Portovenere». Il legame tra Carlo Massarini, nato a La Spezia, in Liguria, e il mare è fisiologico. Come è viscerale la passione del noto giornalista e conduttore radiofonico per “Crêuza de mä” di Fabrizio De Andrè, album scritto a quattro mani con Mauro Pagani e pubblicato da Ricordi nel 1984.
Ciò che non risulta comprensibile è l’iniziale indifferenza della critica musicale per quello che Massarini definisce «l’album italiano preferito di sempre». I discografici erano convinti che nessuno avrebbe capito o apprezzato un disco in dialetto genovese, nemmeno gli abitanti del capoluogo ligure.
Ma i “signori della musica” non sapevano che in ogni storia proveniente dal porto o dal largo, c’è l’origine di tutto. «Come è profondo il mare, cantava Lucio Dalla – dice Massarini –. Ecco, il mare è il nostro inconscio». Non avevano capito la forza dirompente di “Crêuza de mä”, un’opera diversa, inaspettata, unica.
Alla fine, la sentenza degli arbitri “in terra del bene e del male” è risultata sbagliata quanto le profezie di Nostradamus. Oltre a essere considerato il miglior album italiano degli anni ’80, la creatura di De Andrè-Pagani si trova al quarto posto nella classica stilata da Rolling Stones dei cento dischi italiani più belli di sempre. Il leggendario David Byrne l’ha consacrato tra i dieci dischi più importanti del decennio in tutto il mondo. Se poi non bastasse quanto scritto a convincere gli scettici riguardo al successo del capolavoro in questione, ricordiamo che ancora oggi “Crêuza de mä” viene cantata dai tifosi allo Stadio Marassi di Genova. Forse, la più grande soddisfazione per Faber nostrum.
De Andrè la definiva una musica «fuori dal tempo». Intervistato da Cico Casartelli su Buscadero nel dicembre 1996 raccontava: «è frutto della ricerca di un linguaggio musicale e letterario che sono da iscriversi più al sogno che non alla coscienza, un esperimento sincretistico tendente a inventare un linguaggio in cui si riconoscessero e si identificassero tutte le genti del Mediterraneo».
«Questo alone di sospensione fra realtà e sogno, e la lingua mista, chiamano necessariamente una musica mista, meticcia, intrecciata, mischiata», precisa Massarini. Nell’abbraccio della world music, contaminata da melodie greche e arabeggianti, vivono immortali le paure e le favole dei pescatori, l’origine della vita e la morte. Ci sono i suoni del Mar Mediterraneo, al cui fascino Carlo non riesce a resistere: nel 1984 è salpato per un viaggio che non terminerà mai, quell’omaggio deandreiano alla culla delle civiltà antiche. «Qui siamo nati e ci siamo evoluti, stratificati gli uni sugli altri – continua il giornalista –. Il melting pot del Mare Nostrum è straordinario: pizzica, tarantella, musica andalusa, lo gnawa marocchino, rai algerino, blues del deserto, la musica classica araba e polifonie corse, il Rembetika greco, la musica medio-orientale, dall’Egitto alla Siria, la musica turca, quella greca».
Una volta imbarcati, è impossibile scendere. «Non è un viaggio lungo, in minutaggio, ma intenso e fascinoso, capace di portarti davvero in un’altra dimensione, una sorta di viaggio interiore psichedelico, naturale, ondeggiante». In quel coro cullante “eianda euè” va e viene la malinconia millenaria dei pescatori, che sanno quando partono, ma mai quando tornano.