19 Febbraio 2025
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Cronaca, Giustizia, Società

Femminicidio, il giornalismo che non aiuta

Sarebbe in calo dal 1990, solo per la capacità dello Stato di contenere le attività illegali, ma i media continuano a vittimizzare l’omicida con un errato utilizzo del linguaggio di cronaca. Perché prevale l’approccio sociologico e formativo utile alla comprensione profonda del fenomeno? Il Progetto.

“Femminicidio” non è una bella parola per iniziare un articolo e non è “buona” da pensare. Ma è utile per comprendere che questa “realtà” non si esaurisce tra le mura domestiche, che va compresa, riflettendo sulla necessità di un mutamento culturale che è anche frutto della capacità trasformativa dei media. Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità, i media rivestono un ruolo fondamentale contro la violenza di genere. Grazie ad un apposito studio condotto dal Centro ricerche, innovazione tecnologica e sperimentale della RAI (RAI CRITS) per supportare il giornalista nell’approfondimento del tema, emerge come, narrando le cause di questi crimini, siano state spesso utilizzate figure stereotipe tipiche della cronaca nera, come raptus, gelosia o troppo amore.

Una rappresentazione, motivata dalla vicinanza alle fonti primarie d’informazione collegate ai protagonisti della vicenda, che potrebbe apparire come un indicatore di giustificazione di queste forme di sopruso. Si tratta di linguaggio che non terrebbe conto delle strutture sociali invisibili capaci di condurre, talora, alla tossicità di alcune relazioni affettive. I femminicidi sono, nella definizione di Diana E.H. Russel del 1992, “omicidi di donne per mano maschile caratterizzati da forte componente misogina e di possesso”. Sono in calo, dal 1990 ad oggi, nel nostro Paese, ma più evidenti per la diminuzione delle vittime di omicidio, più in generale, dovuta alla capacità dello Stato di contenere le attività illegali.

Ciò che distingue dal calcolo gli eventi presi in esame, la cui diminuzione è meno marcata rispetto alla tendenza generale, è che la donna è uccisa in quanto tale. Si tratta di crimini di carattere espressivo per la necessità dell’autore di esprimereuno stato d’animo. Occorre guardare a quei modelli culturali che costituiscono il terreno fertile dove le azioni criminose maturano, alle istituzioni sociali che possono affermarle, riprodurle. Nella famiglia, nel matrimonio, la violenza può essere funzionale alla necessità di mantenere un controllo coercitivo, una vera dominazione. Non è semplice comprendere il movente di un delitto né descriverne il “perché”, le cause di questi omicidi. Ma l’utile approccio sociologico e formativo è volto, oltre che alla comprensione degli individui violenti, anche a quella delle situazioni violente e di come queste influenzano il comportamento degli “attori sociali”. Il progetto ha sperimentato le metodologie del DDJ (data-driven journalism), analizzando i dati annuali EURES e ISTAT distinti per macroregione geografica, raccogliendo, omogenizzando e organizzando, anche tramite l’intelligenza artificiale, le informazioni relative agli eventi di cronaca, identificando e verificando quelle rilevanti (i metadati). La piattaforma scaturita dallo studio ha la finalità di supportare il giornalista nella sua attività, facilitandone anche la riflessività, e di addestrare l’algoritmo a riconoscere un “femminicidio” dalle sue principali caratteristiche.

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