30.04.2024
Tra disuguaglianze di genere, territoriali e precarietà contrattuale, i giovani italiani di oggi guadagnano molto meno rispetto a quanto guadagnavano i baby boomer all’epoca. Sono in molti a percepire retribuzioni annue inferiori a 5000 euro. Analisi e numeri.
Per anni li hanno chiamati “bamboccioni”, e tuttora continuano a criticarli perché rispetto ai coetanei europei escono più tardi di casa. “Se vuoi, puoi”, dicono. Ma ai giovani italiani piace davvero restare nella bolla famigliare fino a 30 anni? E davvero se volessero, potrebbero? Al netto del fatto che, come in ogni generazione, ci sono ragazze e ragazzi che si prefissano l’obiettivo dell’indipendenza sin dai primi anni dell’età adulta e altri che preferiscono andare a passo più lento, c’è un dato oggettivo che non può essere sottovalutato: i giovani di oggi guadagnano molto meno rispetto ai giovani della generazione dei baby boomer.
Secondo recenti dati INPS analizzati da Eures – Ricerche Economiche e Sociali, un numero significativo di giovani si trova a percepire retribuzioni annue inferiori a 5000 euro, passando dal 24,3% del 2016 al 26.9% del 2021. In particolare, emerge una tendenza all’impoverimento più accentuata tra le giovani donne: il 32,3% delle lavoratrici under 35 guadagna meno di 5000 euro all’anno, in netto contrasto con il 22,8% dei coetanei maschi. Una situazione complicata dalla diffusa precarizzazione: negli ultimi 10 anni, la percentuale di giovani con contratti a tempo indeterminato è scesa dal 70,3% al 60,1%, mentre sono aumentati i contratti a tempo determinato e gli stagionali, con questi ultimi che spesso sono associati a retribuzioni molto basse. Ancora, una sfida significativa è rappresentata dai contratti part-time, che coinvolgono, al 2021, il 39,8% degli under 35, con il 50,9% delle lavoratrici e il 31,4% dei lavoratori.
Ma le disuguaglianze non si fermano qui. L’Italia, infatti, mostra una marcata disparità territoriale, con una forte disoccupazione concentrata nelle aree del Mezzogiorno: secondo i dati Istat dell’ultimo trimestre del 2022 il tasso di disoccupazione (15-65 anni) nel Sud del Paese è del 14,6%, contro il 7,1% del Centro Italia e il 4,8% del Nord. Nello specifico, le 3 regioni con il più alto tasso di disoccupazione nel 2022 sono la Campania (17,4%), la Sicilia (16,9%) e la Calabria (15%); al contrario, i tassi più bassi si registrano nel Nord del paese, in particolare nella Provincia Autonoma di Bolzano (2,3%), nel Trentino-Alto Adige (3,1%) e nella Provincia Autonoma di Trento (3,8%).
Dati, questi, che riflettono la realtà di oggi, una realtà in cui ragazze e ragazzi devono lottare per la propria indipendenza e per costruirsi un futuro, in un contesto costellato di precarizzazione e disuguaglianze. Altroché bamboccioni.