30.09.2024
Netanyahu riprende forza dopo l’uccisione di Nasrallah sotto gli occhi di tutti. Un durissimo colpo alla formula “tre H” (Hesbollah, Hamas, Houthi), progettata da Teheran per il MO. Gli Ayatollah ora sono davanti a un bivio impossibile: rispondere a tono per ristabilire l’ordine, o abbozzare nuovamente, certificando di essere una tigre di carta.
Sotto il profilo strettamente militare, l’attacco al quartier generale di Hezbollah a Beirut, costato la vita al suo imprendibile capo Hassan Nasrallah è stato un’operazione ben riuscita. Dall’arrivo delle informazioni sulla sua presenza alla decisione di agire, dallo sgancio delle bombe alla conferma della sua morte sono passate meno di ventiquattr’ore. Il primato deve molto alla catena di comando israeliana, leggendariamente corta, ma anche alla decisione già presa di eliminare la minaccia sul confine israelo-libanese. Pochi giorni prima, Israele aveva disarticolato la struttura di comunicazione di Hezbollah, facendo esplodere simultaneamente le migliaia di cercapersone che l’organizzazione usava al posto dei cellulari, troppo facili da intercettare. Né si può dimenticare che con Nasrallah, sul quale pendeva tra l’altro una taglia USA di sette milioni di dollari, sono state eliminate molte altre figure di spicco.
In termini politici e strategici, colpisce innanzitutto la limitata condanna dell’attacco da parte degli altri Paesi arabi, in alcuni dei quali si è anzi apertamente festeggiato. La ragione principale va cercata nella natura stessa di Hezbollah come braccio armato shiita in una regione sunnita – o, per farla più semplice, come “proxy” (delegato) dell’Iran. In molti, insomma, hanno privatamente tirato un sospiro di sollievo e ringraziato Israele per essersi sobbarcato il lavoro sporco che nessuno voleva.
Resta aperta la domanda su come evolverà la crisi. Azzoppati Hamas e Hezbollah, per cambiare a proprio favore gli equilibri regionali, l’Iran, grande sponsor delle “tre H” del terrorismo organizzato in Medio Oriente, dispone ormai solo degli Houthi nello Yemen. Cinque mesi fa, l’incapacità di rispondere all’attacco israeliano al centro della difesa aerea di Isfahan, era già rimasto senza risposta diretta. Ora il regime degli ayatollah si trova a un bivio impossibile: rispondere direttamente, dimostrando di poter sferrare colpi altrettanto forti, o abbozzare nuovamente, certificando di essere una tigre di carta. Nel primo caso, dovrebbe poi affrontare la reazione, prevedibilmente durissima, di Israele. In entrambi, la popolazione, da tempo insofferente verso il regime islamico, potrebbe manifestare il proprio dissenso in modo incontrollabile.Tutto bene, quindi? In realtà, il crollo di Hezbollah, vero e proprio “Stato nello Stato” nel martoriato Libano, potrebbe aprire un vuoto di potere che Siria, ISIS o altri attori regionali potrebbero essere tentati di riempire, creando una pericolosa instabilità o insediando un nuovo nemico alle porte di Israele. Gli Houthi, dal canto loro, potrebbero aumentare la pressione sul Mar Rosso (e quindi infastidire l’economia europea) o intensificare gli attacchi missilistici contro Israele. La risposta occidentale, per quanto necessaria, aprirebbe un nuovo fronte.
Insomma, non è ancora arrivata la vittoria assoluta. Non tanto perché Hezbollah non ha cessato il lancio di razzi contro Israele, iniziato l’8 ottobre 2023, in orrenda solidarietà e continuità con la strage effettuata il giorno prima da Hamas, ma perché incerti restano gli sviluppi. Ma, a parte la capacità di sostenere e pianificare altre offensive missilistiche, è indubbio che perdendo insieme vertici e quadri l’organizzazione sunnita abbia subito un durissimo colpo dal quale faticherà a riprendersi.