20.08.2023
Yen ai minimi dal 2007, turbolenze post pandemiche di Evergrande, scadenze non onorate del gruppo Country Garden, troppi gli indizi di una Lehman Brothers modello cinese simile al 2008.
Come il battito d’ali di un farfalla a Pechino può provocare un uragano a New York? Riprendere una delle metafore più evocative della teoria del caos, sviluppata nel corso degli anni ’60 da Edward Lorenz, appare appropriato per le conseguenze che potrebbero maturare sullo scenario economico-finanziario internazionale per la crisi del colosso immobiliare cinese Evergrande. In realtà, l’effetto farfalla è quello che si determina nei sistemi complessi quando, a causa di impercettibili variazioni, si generano effetti a catena molto rilevanti e assolutamente imprevedibili in un periodo di tempo abbastanza lungo.
Evergrande, nel suo macroscopico impero, secondo solo all’altro colosso Country Garden, non è riuscito a evitare che le metaforiche farfalle svolazzassero liberamente durante e dopo il lockdown a causa alla pandemia e le turbolenze hanno cominciato a manifestarsi in modo sempre più evidente a livello domestico. È un dato di fatto che la lotta al Covid sia stata pagata a caro prezzo dai cinesi, che hanno visto erosi i loro risparmi e sono freneticamente impegnarti a ricostruirli. Il mercato immobiliare cinese ne ha risentito e si è ritrovato inevitabilmente esposto, senza contagiare per il momento i mercati finanziari globale, ma l’impressione è che la linea di confine sia meno distante.
Il governo del Dragone, che vede lo spettro di un caso simile a quello che nel 2008 provocò il crollo di Lehman Brothers con ricadute a macchia d’olio su tutte le economie, conosce bene i numeri della crisi. Al punto che la Banca centrale cinese, come ha postulato l’economista Cai Fang, per evitare il rischio di una pericolosa e incontrollata deflazione, sarebbe pronta a irrorare 550 miliardi di dollari, cifra che corrisponde alla somma del debito dei due colossi immobiliari cinesi. Nel frattempo, Evergrande, su cui incombe la richiesta di bancarotta negli Stati Uniti (oneri offshore per 31,7 miliardi di dollari tra bond, garanzie e obblighi di riacquisto), si è affrettata a precisare che «si tratta di una normale procedura di ristrutturazione del debito offshore e non comporta istanza di fallimento».
La Borsa di Hong Kong, a sua volta, si confronta con le difficoltà del gruppo Country Garden, che non ha onorato le scadenze di alcuni pagamenti di bond e il cui titolo sarà rimosso dall’indice Hang Seng a partire dal 4 settembre. In tale scenario, con lo yuan ai minimi dal 2007 sul dollaro, il governo di Pechino cerca la soluzione più rapida ed efficace per rimuovere l’indebitamento e tornare ad autoalimentarsi, sapendo che gli investimenti cinesi toccano tutte le aree del pianeta.