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Cultura

La cultura messaggio di conciliazione, l’Unesco unita per nominare Napoli sua capitale

12.11.2023

Napoli con il Vesuvio sullo sfondo.

In un momento di grandi difficoltà nel Mediterraneo, rappresentanti ed esperti dei 194 Paesi membri dell’Unesco si uniscono per nominare la Città dell’imprevedibilità capitale mondiale della cultura, contro le deficienze e l’incuria di sempre, perché pace e stabilità non siano solo chimere.

Le parole sono belle, gli intenti nobili. Presentare presso la Farnesina, sede del ministero degli Affari Esteri, il programma di Cultural Heritage e the 21st Century, vertice internazionale a cui prenderanno parte rappresentanti ed esperti dei 194 Paesi membri dell’Unesco, rappresenta per Napoli riconoscimento e titolo onorifico con il fregio di capitale mondiale della cultura.

E se, dal 27 al 29 novembre, l’agenda prevede sette sessioni che indagheranno le sfide poste al Patrimonio materiale e immateriale dell’umanità da urbanizzazione, turismo eccessivo, cambiamenti climatici e conflitti, il nodo cruciale rimarrà quello del potenziale espresso come motore di sviluppo sostenibile, perché pace e stabilità non siano solo chimere.

Eccoli, i Paesi partecipanti pronti a elaborare un quadro di sinergie che possa fondere la Convenzione sul Patrimonio mondiale del 1972 insieme a quello immateriale del 2003. L’evento, organizzato da Ministero degli Esteri, Ministero della Cultura e Comune di Napoli, polarizzerà l’attenzione internazionale e nelle intenzioni del ministro degli Esteri Antonio Tajani consentirà di veicolare la cultura come messaggio di riconciliazione. Occasione imperdibile, specie ora che “Il Mediterraneo vive un momento di grandi difficoltà, e deve trasformarsi in un luogo di pace”.

Consentendo pure al Sud del nostro Paese di catalizzare nuove presenze turistiche, nel valorizzare l’unicità dei suoi siti e favorire quel sottile «equilibrio tra tutela, sviluppo e mantenimento dell’identità dei centri storici», come sottolineato da Gaetano Manfredi, il sindaco partenopeo. Ma Napoli, ad un tratto, dimentica sole, pizza e mandolini, per sostituire quest’ultimi con i calcinacci.

E non bastano le meraviglie del paesaggio, di vicoli brulicanti vita, la cornice presepiale di San Gregorio Armeno, il Cristo velato, o l’energia prodigiosa di opere d’arte e storie uniche, per evitare di scivolare nell’atavica precarietà. Si va oltre lo stereotipo, schivando le torme di turisti che assediano la città, alla ricerca del solito/insolito, canone abusato tra babà e sfogliatelle, capace a malapena di celare ferite profonde. Ecco, perché, quando si attraversa la centralissima Piazza Dante, l’ennesima tammurriata diventa ritmo irridente sotto l’arco pericolante della storica Port’Alba (duca e viceré spagnolo, 1625), accesso alla strada dei librai, crocevia tra città greca e romana, in procinto di scaricare sui malcapitati mattoni e pezzi di volta, frutto d’incuria e malagestione ultraventennale, prossima a diventare rudere e fors’anche monumento: all’insipienza e alla politica del rinvio perenne.

Ma se il centro storico di Napoli è patrimonio dell’umanità protetto dall’Unesco, anche l’arco fatiscente rientra nei 59 siti che collocano l’Italia al primo posto nel mondo in questa speciale classifica? Soltanto che qui non siamo a Pompei. La sfida della tutela del patrimonio artistico e architettonico in una città cui il destino ha donato bellezza, ha bisogno di tutela e protezione, nel quadro, in prospettiva, di una sfida culturale ma anche economica. E il sorriso diventa ghigno amaro, sperando che i partecipanti del vertice organizzino altrove il loro giro turistico in pullman. Lo scuorno (leggi, vergogna) sarebbe insopportabile.

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