20.05.2024
Winston Churchill aveva definito la Russia «un indovinello avvolto in un mistero dentro un enigma». Xi Jinping propone una soluzione politica in vista della conferenza di pace prevista a breve in Svizzera, mentre l’Ucraina si trova sull’orlo del collasso. Qualunque sia la volontà di Putin in questa fase a lui favorevole, l’Ucraina non deve perdere.
Vale più l’avanzata russa verso i sobborghi di Karkhiv o l’attacco ucraino a Novorossisk? La ripresa delle forniture militari statunitensi serve a limitare i danni o permetterà a Zelenski di rovesciare la situazione? Insomma, l’Ucraina sta per crollare o la Russia ha giocato le sue ultime carte? La domanda, sulla bocca di tutti da oltre due anni, acquista particolare rilevanza dopo l’invito alla soluzione politica fatto da Xi Jinping durante la visita di Putin e in vista della conferenza di pace prevista a giugno in Svizzera. La risposta dipende dai fattori presi in considerazione, ma anche dalla difficoltà di interpretare le notizie disponibili. Ben prima dell’attuale disinformazione digitale, Winston Churchill aveva definito la Russia «un indovinello avvolto in un mistero dentro un enigma». In ogni caso, vi sono pochi dubbi che l’offensiva russa di primavera abbia conseguito successi sul terreno, sia pure modesti e al prezzo di perdite piuttosto alte in uomini e mezzi. Altrettanto chiaro è che ciò è stato reso possibile in larga parte dai sei mesi di blocco degli aiuti USA, che ha costretto l’Ucraina a centellinare le munizioni, soprattutto quelle dei missili antiaerei e i razzi a lungo raggio. In questo senso, il vantaggio russo ha goduto di condizioni che non si ripeteranno facilmente. Al contrario, l’improvvisa sostituzione di Sergei Shoigu dal ministero della Difesa, che reggeva da ben dodici anni, con l’economista Andrei Belousov, si può vedere come segno della necessità di passare da una guerra “breve” a una “lunga”. In poche parole, i russi avrebbero perso tutti i mezzi moderni in linea nel febbraio 2022 e starebbero per finire le scorte di magazzino, come sostengono molti analisti, commentando lo svuotarsi dei piazzali visibili nelle immagini satellitari disponibili sui normali canali commerciali.
La nomina dell’esperto di economia industriale indicherebbe, dunque, scetticismo verso una rapida conclusione. Benché su scala minore, gli attacchi ucraini contro obiettivi militari e industriali di pregio, dai sistemi di difesa aerea (soprattutto i loro radar) ai depositi di carburante, degradano la capacità avversaria. Quando sono in territorio russo, lasciano intendere alla popolazione che Putin non possa difenderla. Attenzione, però, a lasciarsi tentare dall’idea che ciò possa provocare un crollo repentino del morale russo, la cui solidità non può essere considerata minore a quelli ucraino.
Nel calcolo entrano anche gli insistenti appelli russi alla “pace”. Anche trascurando l’annosa questione dell’ampiezza delle concessioni politiche (no NATO, no EU, no difesa) e territoriali (Donbass, riconoscimento della occupazione della Crimea, ponte di terra tra le due) tuttora pretese, l’insistenza per una soluzione politica sembra indicare un voler chiudere in fretta, prima che un successo ucraino inverta la percezione collettiva. Un’altra lettura possibile è che gli appelli mirino a influenzare le elezioni europee, rafforzando i partiti isolazionisti di destra e sinistra favorevoli ad abbandonare l’Ucraina al proprio destino. Anche questo potrebbe non funzionare: dalla Repubblica Ceca che invia munizioni all’Estonia che già parla di truppe, i paesi della “nuova Europa” dell’Est sono decisi a evitare di tornare sotto l’ombra del Cremlino.
Di fronte alle tante variabili, l’unica conclusione possibile è che la Russia non vince e l’Ucraina non perde. Qualsiasi cosa voglia dire per un Paese invaso due volte in otto anni.