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Esteri

La trappola di Gaza, vantaggi e svantaggi di una guerra senza vincitori

07.11.2023

Un mese di battaglie distruttive in Medio Oriente ha prodotto migliaia di morti da entrambe le parti. Hamas ha raggiunto il suo scopo di isolare Israele? Russia (o Iran) sono riusciti a sabotare l’ampliamento degli accordi di Abramo? A che punto sono gli Israeliani nella loro impresa?

Chi sta vincendo la guerra di Gaza? Giusto un mese fa, il 7 ottobre, i terroristi di Hamas sfondavano la barriera di confine con Israele per massacrare oltre 1.300 persone, rapirne circa 250, ferirne migliaia. In risposta, l’esercito israeliano è entrato nella striscia di Gaza con l’obbiettivo dichiarato di eliminare Hamas, causando migliaia di vittime, soprattutto tra civili e bambini. Un conto orrendo, che entrambe le parti sfruttano in termini di comunicazione, ma che non basta per determinare il vincitore. Mentre le forze israeliane stringono Gaza City facendo saltare tunnel e depositi di Hamas, si possono già indicare alcune categorie sulle quali ragionare.

Se lo scopo di Hamas era isolare Israele, l’obiettivo è fallito. Alla compattezza dei governi occidentali, tutto sommato scontata, si è aggiunta la neutralità sostanziale dei Paesi arabi, nessuno dei quali è andato oltre qualche dichiarazione verbale. La rapidità degli USA nell’inviare il segretario di Stato Antony Blinken a tessere la tela diplomatica e schierare importanti forze militari (dagli aerei ai sommergibili atomici, dalle portaerei alle forze speciali) ha dissuaso ogni colpo di testa. Persino l’Iran, grande sponsor di Hamas, sembra essersi chiamato fuori dalla lotta.

Se la battaglia era d’immagine, l’adozione della terminologia palestinese è un punto a favore di Hamas. Ogni volta che in Occidente si parla di “genocidio”, in aperta contraddizione con l’incremento di popolazione a Gaza; ogni volta che si accettano senza discutere i dati più o meno taroccati del “Ministero della salute di Gaza”; ogni volta che la colpa è di chi distrugge le rampe di lancio dei razzi piazzate tra le case e non di chi usa la popolazione come scudo umano; in ognuno di questi casi Israele perde consenso. In più, aumenta la percezione di come Hamas opprima i palestinesi che desiderano solo vivere in pace – o almeno, senza guerra.

Se i terroristi volevano spaccare Israele, non ci sono riusciti. Di fronte alla minaccia esistenziale, il Paese si è ricompattato. Questo non vuol dire che improvvisamente Netanyahu sia amato, ma i riservisti si sono presentati puntualmente e non c’è carenza di piloti. Per fare i conti ci sarà un altro momento. Similmente, il rifiuto dell’Egitto e degli altri Paesi arabi di accogliere i palestinesi ha mostrato a tutti come l’unità araba sia un esercizio retorico.

Se Hamas voleva mobilitare le piazze occidentali in nome della dubbia categoria dell’ “antisionismo”, c’è riuscita a metà. Perché a ogni ritratto di ostaggi strappato corrisponde la crescente consapevolezza della minaccia che i fondamentalisti portano alla società aperta di stampo occidentale, a tutto vantaggio dei partiti e movimenti identitari da sempre schierati contro l’immigrazione.

Se la Russia (o l’Iran) voleva sabotare l’ampliamento degli accordi di Abramo, schierandosi con gli arabi per ora è riuscita solo a indurre Israele a uscire dalla posizione ambigua che Netanyahu ha tenuto nei suoi confronti, per esempio sulla questione ucraina. Allo stesso tempo, gli USA sono riusciti a evitare l’ampliamento del conflitto.

Se queste sono le variabili della guerra di Gaza, la difficoltà principale resta quella di valutare il peso che i protagonisti attribuiscono a ciascuna di esse e quali conseguenze ne trarranno. Proprio per questo, se anche il conflitto finisse domani per un giudizio definitivo servirebbero comunque i tempi lunghi della storia.

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