04.07.2023
La commedia all’italiana indaga la classica spiaggia quale palcoscenico sociale. Distese d’ombrelloni a perdita d’occhio sovrastano una fittissima marea di corpi umani che sgomitano tra sabbia, chiacchiere e gelati al limone.
Tra mille colori, voci che si rincorrono e la risacca che ti bagna, anche Carlo Goldoni si gode le vacanze. Scusi, è lei che ci fa qui? Guardi che la mia Trilogia della villeggiatura (1761) ambientata a Montenero vicino a Livorno, a un passo dalla riviera toscana dove due secoli dopo i protagonisti animeranno Una vita difficile e Il Sorpasso, ha anticipato il cinema vacanziero italiano prima di Dino Risi e altri.
C’è un filo sottile che lega quella società opulenta sull’orlo del baratro, che prova ad annegare nel divertimento caducità e presagi foschi, alle vacanze-tipo degli anni Sessanta (del ‘700 e del ‘900), trasformandosi da fatto aristocratico a fenomeno di massa. Trasmigrando, poi, nelle pellicole cinematografiche pronte a fungere da set e sfruttarne le potenzialità narrative. Così, gli arenili sconfinati della Versilia, della Romagna e del litorale romano, superando le avvenenti ma distraenti coste liguri e meridionali (da cartolina), diventano teatri per focalizzare l’attenzione sul fenomeno consumistico della vacanza. Il mare degli anni ’50-’60 è zona franca, democratica, accessibile a tutti i ceti. Il punto di ritrovo di bagnanti, amici, e di tribù famigliari, quasi protesi delle mura domestiche.
E arriva il cinema a raccontarne le storie, aspirazioni e tic compresi, ben oltre i sentimentalismi turistici (es. anni ’50 Racconti d’estate, Vacanze ad Ischia). Distese d’ombrelloni a perdita d’occhio sovrastano una fittissima marea di corpi umani che sgomitano tra sabbia, chiacchiere, gelati al limone, canzonette, juke box e giovani che ballano a comando. La spiaggia-passerella, luogo di ostentazione del proprio corpo “ritoccato” da creme abbronzanti, diete e posizioni studiate, orienta anche i comportamenti, pilotati dall’apparire socialmente più di quello che si è. Lo status come obiettivo.
Comprendi che lì si srotolano riti di una civiltà non marinara, ma balneare come la nostra, non di navigatori, ma di bagnanti. Una ipervitalità riempie tempi e spazi, travolti dall’ondata del consumismo, dal dovere dello svago uguale per tutti, perché pare obbligatorio divertirsi, animare conversazioni brillanti con i vicini d’ombrellone, e naturalmente abbrustolirsi al sole. Lo fa emblematicamente Enrico Maria Salerno con Sandra Milo, nel turbinìo di equivoci ed amorazzi, nella Riccione afosa de L’ombrellone (1965). Ma anche Domenica d’agosto (1950) di Emmer, La spiaggia (1954) di Lattuada, La dolce vita (1960) di Fellini, Il seme dell’uomo (1969) di Ferreri, Casotto (1977) di Citti, sino a Sapore di mare (1983) di Carlo Vanzina.
La commedia all’italiana interpreta la spiaggia quale palcoscenico sociale, riempiendosi di una sovraesposizione di corpi, con costumi da bagno sempre più ridotti fino alla liberalizzazione del bikini, nell’orientare le inquadrature sul soggetto femminile da parte di uno sguardo maschile ai limiti del voyeuristico. Quelle “masse in scena” che affollano le immagini dei litorali sono le protagoniste di una direttrice balneare trasversale del cinema italiano, con la spiaggia che è soglia di sospensione carnevalesca. Il mascheramento in costume da bagno è più di un ossimoro. Tutti al mare! Ciak, si (ri)gira!