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Esteri

Mistero Iran

24.05.2024

Incidente? Operazione del Mossad? Congiura interna? Al netto delle ipotesi complottistiche relative alla morte del presidente iraniano Ebrahim Raisi e del ministro degli esteri Hossein Amir-Abdollahian, nell’immediato non ci si aspetta che quanto accaduto comporti significativi sconvolgimenti in Iran e nella regione. Ciò non toglie che, soprattutto all’interno dell’establishment, possano mettersi in moto dinamiche che avranno profonda rilevanza.

Sul piano interno, è innanzitutto da evidenziare che la leadership vuole evitare scossoni che possano destabilizzare il paese; il clima è teso, complice un mix di sanzioni internazionali, disoccupazione, inflazione, repressione, e dinamiche regionali. Le elezioni presidenziali sono già state fissate per il 28 giugno, nel frattempo la carica è coperta ad interim dal vice presidente Mohamed Mokhber.  In molti ritengono che candidati moderati e riformisti saranno esclusi, e che dunque si tratterà di una competizione tra conservatori. Di contro, per evitare che si ripeta l’astensionismo crescente nelle ultime elezioni, cercando di dare legittimità al voto l’establishment potrebbe lasciare qualche spiraglio alle forze riformiste. Si tratta di elezioni importanti, perché la morte del presidente in qualche modo riapre anche la questione della successione alla Guida Suprema, l’ottantacinquenne ayatollah Ali Khamenei. Le diverse fazioni dell’establishment si stavano già preparando ad una transizione di potere, ma quanto accaduto modifica la situazione. Infatti, Raisi era considerato come uno dei possibili successori o, quanto meno, avrebbe avuto un ruolo nell’influenzare la successione. Ora, diversi parlano del figlio di Khamenei, Mojtaba, come uno dei candidati di punta, sia come presidente che come possibile futura Guida Suprema. Dunque, la morte di Raisi potrebbe aprire la strada all’ascesi di Mojtaba, o scatenare una lotta di potere tra le diverse fazioni di conservatori.

In politica estera, verosimilmente Tehran proseguirà con l’attuale linea dell’evitare una escalation, ovvero un confronto diretto con Stati Uniti e Israele. Ciò, per una serie di motivi. Innanzitutto, il presidente ha un limitato potere di indirizzo della politica estera, dato che è il Consiglio Supremo di Sicurezza Nazionale a prendere le decisioni. Secondariamente, Tehran non ha interesse a cambiare il corso degli eventi. Israele è più isolato che mai, e sul primo ministro Netanyahu pende un mandato d’arresto per crimini contro l’umanità. Inoltre il presidente americano Joe Biden è vistosamente in difficoltà, nel tentativo di salvare “capra e cavoli” – ovvero appoggiare Israele senza perdere elettorato, alienarsi le piazze arabe, e creare tensioni con le cancellerie occidentali. E’ poi da evidenziare che la guerra a Gaza ha scongiurato l’isolamento regionale, congelando gli Accordi di Abramo e ogni tentativo americano di normalizzare le relazioni tra Israele e Arabia Saudita. Nel frattempo, complici le guerre in Ucraina e Gaza, Mosca e Tehran stanno intensificando le loro relazioni e si ergono a campioni di un mondo multipolare. In Iraq, il governo sta negoziando con Washington il ritiro delle forze americane impegnate nella missione internazionale contro il Da‘esh. Infine in Yemen, gli Houthi proseguono imperterriti la loro sfida alla comunità internazionale. Dunque un’escalation potrebbe interrompere questi trend positivi per Tehran, col rischio di inficiare i traguardi raggiunti.

In conclusione, almeno per il breve termine, ci si aspetta continuità.  Non mancano però rischi. Infatti, le elezioni presidenziali metteranno nuovamente alla prova la legittimità dell’establishment, costringendolo a misurarsi con l’impopolarità. Inoltre, sullo sfondo della successione alla Guida Suprema, il vuoto di potere lasciato da Raisi potrebbe scatenare lotte di potere intestine. In politica estera, probabilmente, ci potrebbe essere qualche cambiamento solo dopo l’insediamento del nuovo presidente e del nuovo ministro degli esteri.

 

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