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Esteri

“Taiwan è nostra”, ruggiscono i 42 jet cinesi contro il Presidente Biden

22.08.2023

Preparazioni per la parata militare nell'occasione del National Day in Taiwan.

Nessuna pietà, anche per i cinesi in Taiwan. L’incontro lampo del Vice presidente di Taiwan William Lai con Biden in USA smuove 42 jet cinesi verso il suo Paese. Nessuno ha più voglia di affermare le proprie posizioni politiche senza far rumore. Nemmeno i cinesi, con la loro insidiosa abitudine.

Corea del Sud e Giappone nella stessa stanza a Camp David: è il più recente successo diplomatico di Joe Biden, il presidente che, insieme ai cocci della politica estera di Trump, si è trovato a gestire la risposta all’invasione russa dell’Ucraina e la sfida globale della Cina. Il giorno dopo, nel più classico gioco del gatto con il topo, ben 42 aerei militari cinesi si sono avvicinati a Taiwan, il cui vice presidente William Lai aveva appena fatto una visita-lampo in USA. Da una parte, il fronte comune contro l’imperialismo cinese; dall’altro, l’aggressiva rivendicazione della volontà di dominio nello scacchiere asiatico.

Chissà quale dei due messaggi è arrivato più chiaro? La risposta la daranno le elezioni presidenziali taiwanesi del gennaio 2024.

L’ormai quotidiano susseguirsi di sfide – aerei in cielo, portaerei nelle acque internazionali, manovre congiunte con questo o quello – è lo specchio fedele del nuovo bipolarismo. Da una parte, come prima, gli USA e la galassia occidentale, più ampia e in parte più compatta; dallaltra, la Cina, che ha definitivamente sostituito la Russia come competitor globale. Nonostante la sua economia traballi, non v’è dubbio che il potenziale industriale e tecnologico di Xi Jinping sia altra cosa di quello russo, impietosamente sottolineato dal fallito allunaggio della sonda Luna-25.

L’aggressione russa fa arrabbiare, ma paradossalmente la sua incapacità di sconfiggere l’Ucraina rassicura. Le minacce cinesi, proprio perché in larga parte non verificabili, preoccupano di più. L’India ha già da anni lanciato un ambizioso riarmo, con l’acquisto di sistemi occidentali che vanno dai caccia francesi Dassault Rafale ai pattugliatori marittimi americani Boeing P-8i Poseidon. L’Australia ha deciso di dotarsi di sottomarini atomici e caccia Lockheed Martin F-35. E a conferma che la sfida è globale, solo pochi giorni fa sono rientrati gli F-35 dell’Aeronautica Militare che si sono addestrati con i colleghi giapponesi. La portaerei Cavour è ancora lì.

La disponibilità a incontrare i leader di Taiwan e l’impegno nel costruire un’alleanza militare sono i segni più forti della linea politica americana in questo quadrante del mondo, ormai chiara. Dietro ci sono le crescenti restrizioni all’esportazione di tecnologia, il reshoring (cioè il riportare in casa) gli elementi critici per la produzione, la ricerca di alternative per le terre rare oggi monopolizzate dalla Cina.

Sullo sfondo, la scommessa sulla tenuta dell’economia cinese: minor crescita, minori nascite, scoppio della bolla immobiliare (è di questi giorni la richiesta di concordato del colosso Evergrande).

La risposta cinese è affidata ai jet che si avvicinano alle coste taiwanesi. Portano missili, ma è come se trainassero striscioni con sopra scritto TAIWAN È NOSTRA”.

Non è una novità: la posizione politica è immutata. Quello che cambia sono gli strumenti usati per affermarla: sempre più militari, sempre più rumorosi.

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