23 Febbraio 2025
Milano, 11°

Ambiente, Politica

Gli Usa contro l’Ipcc

Foto di Jose M su Unsplash

Donald Trump colpisce ancora. In una riunione plenaria dell’Ipcc che si terrà da lunedì 24 fino al 28 febbraio a Hangzhou, in Cina, diplomatici e scienziati cercheranno ancora una volta di decidere se i rapporti di riferimento che esaminano le conoscenze mondiali sul cambiamento climatico dovranno essere pronti in tempo per la prossimo Global Stoktake, la valutazione delle Nazioni Unite sull’azione globale per il clima.

Ma gli Stati Uniti non ci saranno, perché hanno deciso di chiamarsi fuori dall’Ipcc cosi come sono usciti, per la seconda volta, dall’accordo di Parigi. La notizia del ritiro, attesa, è stata lanciata dall’agenzia Reuters e da Axios. L’anno scorso gli Stati Uniti – sotto l’amministrazione di Joe Biden – hanno fornito 1,45 milioni di dollari all’Ipcc, pari a oltre un quarto dei contributi totali dei governi. Hanno inoltre fornito un’unità dedicata che ha supportato il lavoro degli scienziati del terzo gruppo di lavoro dell’Ipcc. Adesso tutto questo sarà azzerato, così come la partecipazione all’approvazione del rapporto.

“Questa scelta che mi tocca da vicino”,  osserva Giacomo Grassi, scienziato del Joint research center dell’Unione Europea e membro del bureau sella task force dell’Ipcc  sugli inventari delle emissioni “segnala disprezzo per la scienza ed ostilità ideologica per tutto ciò che comporta dialogo e cooperazione internazionale. Quello che Trump non capisce è che se tu ignori il cambiamento climatico, quello non ignorerà te”.

L’Ipcc è al suo settimo ciclo di valutazione – noto come AR7 – che, come nei cicli precedenti raccoglierà il meglio della scienza climatica globale in tre rapporti: uno sulle basi scientifiche fisiche del cambiamento climatico, un altro sulla vulnerabilità dei sistemi umani e naturali e un terzo sulle opzioni per mitigare il cambiamento climatico. La pubblicazione di questi rapporti è prevista per il 2029. Alcuni scienziati hanno chiesto che i rapporti AR7 siano completati in tempo per informare la prossima revisione delle politiche climatiche prevista dall’Accordo di Parigi, nota come Global Stocktake e prevista per il 2028. Ma le profonde divisioni hanno impedito per due volte di raggiungere un accordo sulla tempistica.

“Alcuini scienziati, gli Stati europei e latinoamericani, le piccole nazioni insulari e i Paesi meno sviluppati _ scrive Climate Home News _ hanno spinto affinché i rapporti fossero consegnati entro la metà del 2028, in tempo per il prossimo Global Stocktake delle Nazioni Unite. Tuttavia, all’ultima riunione dell’agosto 2024, una dozzina di Paesi in via di sviluppo guidati da Arabia Saudita, Russia, Cina e India si sono opposti a una tempistica accelerata, adducendo preoccupazioni sull’inclusività di un processo di valutazione abbreviato. In realtà IPCC fa paura ai governi negazionisti o comunque non interessati ad attuare politiche di mitigazione del cambiamento climatico. Per fortuna l’Unione Europea non molla il suo ruolo guida. “Sarà fondamentale che tutti i contributi dei gruppi di lavoro al Settimo Rapporto di Valutazione siano preparati in tempo _ hanno dichiarato in una dichiarazione congiunta il responsabile dell’UE per il clima, Wopke Hoekstra, e i ministri di 17 Paesi, tra cui Gran Bretagna, Germania, Francia, Spagna, Isole Marshall e Guatemala _  Dobbiamo a tutti coloro che subiscono gli impatti della crisi climatica ora, e alle generazioni future, prendere decisioni sul futuro del nostro pianeta sulla base delle migliori prove e conoscenze a nostra disposizione”.  Una seconda dichiarazione, pubblicata venerdì dai Paesi meno sviluppati, un gruppo di 45 nazioni tra le più vulnerabili del mondo, ha affermato che “non ci sono scuse per eventuali ritardi nel processo”. “Qualsiasi passo indietro su questo processo _ si sottolinea _ sarà visto per quello che è, una politicizzazione della scienza a spese dei Paesi vulnerabili. Le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo non hanno nulla da guadagnare nel limitare l’accesso alla scienza dell’IPCC”. Ma la mancanza degli Stati Uniti _ sia economicamente che per l’alto livello del suo patrimonio scientifico _ si sentirà. Quello all’Ipcc è un duro colpo, uno dei molti che prevedibilmente Trump assesterà nella sua presidenza alla scienza climatica e alle trattive per far fronte a quella crisi climatica che lui nega.

 

 

 

Condividi