In un mondo che consuma carne come se il Pianeta fosse infinito, la scienza torna a dire con chiarezza che la tavola è una delle frontiere decisive per la sopravvivenza. La nuova edizione del Rapporto EAT-Lancet 2025 lo dimostra con numeri che non lasciano scampo: se l’umanità adottasse su larga scala la cosiddetta Dieta della Salute Planetaria, ogni anno si potrebbero evitare fino a 15 milioni di morti premature e ridurre del 27% il rischio globale di malattie croniche. E non è tutto: le emissioni di carbonio legate al cibo scenderebbero di oltre il 15% rispetto al 2020.
La dieta raccomandata dagli esperti internazionali privilegia cereali integrali, frutta, verdura, legumi e frutta secca, con un consumo molto limitato di carne e pesce. Un cambio di rotta che non riguarda solo la salute ma anche l’equilibrio del pianeta. Perché produrre un chilo di legumi, rispetto a un chilo di carne bovina, significa usare una frazione infinitamente minore di acqua e suolo, con un impatto climatico incomparabilmente più basso.
L’Italia e la scelta plant-based
Nel nostro Paese il messaggio è già arrivato: secondo l’ultimo rapporto Eurispes, il 9,5% degli italiani adulti ha eliminato la carne dalla propria dieta e il 2,7% segue un’alimentazione completamente vegana. Sono numeri ancora contenuti, ma quadruplicati in dieci anni, segno di una consapevolezza crescente.
A spingere questo cambiamento c’è anche la qualità dell’offerta: l’Italia è oggi il terzo Paese europeo per produzione e consumo di prodotti plant-based, con un giro d’affari di 640 milioni di euro nel 2025, in aumento del 7,6% rispetto all’anno precedente.
Tra i protagonisti di questa crescita c’è Biolab, azienda friulana che in pochi anni ha triplicato il proprio fatturato passando da 8 a 26 milioni di euro. E il suo fondatore, Massimo Santinelli, non ha dubbi sul legame tra cibo e futuro: “Siamo convinti che produrre carne e pesce a base vegetale e incoraggiare i cittadini a consumare questi prodotti può rappresentare una vera inversione di tendenza rispetto al cambiamento climatico, alla perdita di biodiversità dei suoli e alla desertificazione dei nostri mari.”
L’Europa controcorrente
Eppure, mentre la scienza e il mercato indicano la strada, la politica europea sembra girare il volante nella direzione opposta. Pochi giorni fa il Parlamento Ue ha approvato una norma che vieta, dal 2028, l’uso di denominazioni come “burger veg” o “salsiccia di lenticchie” per i prodotti a base vegetale. Il motivo indicato dai legislatori è che queste denominazioni potrebbero confondere i consumatori. Ma il divieto, mentre si celebra la Giornata mondiale del veganesimo (primo novembre), fa ripartire le polemiche.
Santinelli non usa mezzi termini: “Risulta del tutto irrazionale da parte dell’Europa la volontà di danneggiare un settore che rappresenta, ad oggi, l’unica alternativa valida al consumo di proteine animali. È evidente come questa misura nasconda, dietro la sbandierata difesa del consumatore considerato incapace di distinguere un burger di carne con uno vegetale, l’obiettivo di proteggere la lobby della carne sempre più in difficoltà. La politica invece di scoraggiare il consumo di proteine vegetali, dovrebbe incoraggiarne la produzione e contribuire a informare i consumatori spingendoli sempre più verso scelte in linea con le esigenze di una reale transizione ecologica non più rimandabile”.
Tra salute e politica
Il messaggio del Rapporto EAT-Lancet è chiaro: ridurre il consumo di carne è una forma di assicurazione collettiva contro malattie e disastri climatici. L’Europa, però, sembra faticare a tenere il passo con la trasformazione culturale già in atto tra i cittadini e con le strategie alimentari di sostenibilità globale.
Il rischio è che l’inerzia politica freni una rivoluzione che è già iniziata nelle case, nelle cucine e nelle aziende più innovative. Perché il futuro del pianeta, oggi, si gioca anche sul menù. E scegliere meno carne e più piante non è solo una questione di gusto: è una scelta di sopravvivenza.
