L’acqua è arrivata come una furia, travolgendo case, strade e vite. In poche ore, sulla regione di Valencia è caduto l’equivalente di un anno di pioggia. È stato il peggior disastro climatico nella storia recente della Spagna: centinaia di morti, interi quartieri sommersi, danni economici colossali. Ma più ancora del diluvio, ha colpito l’impreparazione. L’allerta meteo era nota, ma la risposta è arrivata tardi, frammentata, caotica. E ora che il fango si è depositato, resta la rabbia di chi accusa la politica di aver tagliato proprio i fondi destinati alla difesa del territorio.
L’amministrazione regionale guidata da Carlos Mazón, un popolare alleato con l’estrema destra, aveva negli ultimi anni ridotto gli investimenti nei programmi di adattamento climatico e nella manutenzione delle infrastrutture idrauliche. Le risorse destinate a bacini di laminazione, reti di drenaggio e piani di emergenza sono state sacrificate in nome di altre priorità di bilancio. È una scelta politica collegata a una sottovalutazione della crisi climatica che oggi pesa come un macigno: mentre gli scienziati lanciavano allarmi sempre più precisi sulla maggiore frequenza delle Dana – le depressioni isolate in quota che generano piogge torrenziali – la macchina pubblica restava lenta e sorda.
La tragedia ha travolto anche la politica. Il presidente regionale Mazón, stretto tra le proteste dei cittadini e le accuse di negligenza, ha annunciato le dimissioni ammettendo “errori di valutazione” nella gestione dell’emergenza. In piazza, le manifestazioni si sono moltiplicate con slogan durissimi: “Il fango sulle nostre mani, il sangue sulle sue”, hanno gridato i cittadini colpiti, ricordando che gli avvisi di allerta erano arrivati ore prima del messaggio d’emergenza inviato ai telefoni della popolazione.
Le immagini dei quartieri di Valencia sommersi hanno scosso l’intera Europa. La Commissione ha promesso oltre un miliardo di euro per la ricostruzione, ma il dibattito ormai va oltre la contabilità. L’editoriale del Guardian non lascia spazio ai giri di parole: “Le inondazioni apocalittiche della Spagna mostrano due verità innegabili: la crisi climatica peggiora e chi continua a ignorarla ne porta la responsabilità”.
La vicenda è un promemoria per tutti. La difesa climatica non è un lusso da tagliare nei bilanci, è un investimento di sicurezza nazionale. Le ondate di calore, gli incendi e le piogge torrenziali che devastano il Mediterraneo non sono più eccezioni: sono la nuova normalità. E se una regione europea avanzata come Valencia può essere colpita così duramente, nessun territorio può sentirsi al riparo.
L’Italia conosce bene il copione. Dalle alluvioni in Emilia-Romagna agli smottamenti in Sicilia, le tragedie recenti hanno mostrato quanto sia fragile il tessuto di prevenzione. A Valencia, come da noi, si è creduto di poter risparmiare su manutenzione, monitoraggio e piani di adattamento. Ma quando il clima cambia più in fretta dei bilanci, i tagli di oggi diventano i disastri di domani.
Ora la Spagna dovrà ricostruire non solo i ponti e le strade, ma la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. E l’Europa dovrà capire che la difesa climatica è una voce prioritaria, non un capitolo accessorio. Perché, come ricorda il caso di Valencia, a ogni euro risparmiato sulla prevenzione corrispondono vite e territori perduti.
