C’è una storia, una bella storia, che ci racconta come la Terra ci è amica. Siamo a Laitsohpliah, in un villaggio immerso nelle colline del Meghalaya, in India. Qui, i bambini a ora di pranzo nel piatto non trovano più soltanto riso e lenticchie: accanto al cibo di sempre, ora, compaiono foglie di “fish mint”, erbe spontanee dal sapore fresco e pungente, chives himalayani, verdure selvatiche raccolte nei dintorni o fornite direttamente dalle famiglie contadine. È il volto più concreto di una trasformazione che porta dentro le scuole l’idea che i pasti scolastici possano essere sostenibili, nutrienti e radicati nella biodiversità locale.
Dietro questa rivoluzione c’è la North East Society for Agroecology Support (Nesfas), un’organizzazione nata per valorizzare i sistemi alimentari indigeni. Da tempo i suoi ricercatori e operatori lavorano a stretto contatto con le comunità Khasi e Jaintia, documentando la ricchissima varietà di piante e di alimenti disponibili nei territori. E il progetto dei pranzi scolastici sostenibili, avviato nel 2022 come sperimentazione in cinque villaggi, ha avuto sin da subito due obiettivi chiari e paralleli: migliorare l’alimentazione dei bambini e ridurre i tassi di malnutrizione attraverso l’inclusione di cibi locali e stagionali.
La sfida non era da poco: il Meghalaya registra tra i tassi più alti dell’India di stunting, la condizione di arresto della crescita dovuta a carenze nutrizionali croniche, condizione che, secondo i dati, colpisce quasi un bambino su due. Basti pensare che nei pasti scolastici del programma nazionale Midday Meal dominavano piatti basati su riso, patate e poco altro. In altri termini, un regime alimentare che sì, sfamava, ma non nutriva.
Invertire la rotta
Per invertire la rotta, Nesfas, guidato dall’idea che il cibo scolastico debba nascere dallo stesso territorio in cui vivono gli studenti, ha scelto di non calare dall’alto un programma preconfezionato, ma di costruirlo in sinergia con i villaggi. E così, almeno un terzo degli ingredienti, oggi, arriva dai campi degli agricoltori locali o dagli orti coltivati accanto alle aule. Un progetto che ha permesso da una parte di riscoprire il valore dei prodotti locali e, dall’altra, di coinvolgere insegnanti, genitori e studenti, arrivando a coinvolgere 26 scuole statali.
Le cifre raccontano meglio di qualsiasi slogan l’impatto dell’iniziativa: nelle prime 11 scuole coinvolte più di 400 studenti hanno visto cambiare radicalmente il proprio pranzo quotidiano; inoltre, 12 cuochi sono stati formati da Nesfas per sperimentare nuove ricette e il governo ha già messo in campo la formazione di oltre 7 mila addetti alle mense. Le comunità, dal canto loro, hanno contribuito a mappare più di 200 specie commestibili, dalle erbe selvatiche ai tuberi locali, portando una ricchezza inaspettata nel menu. E i dati nutrizionali lo confermano: il contenuto di ferreo nei pasti è cresciuto del 10% circa, e oggi oltre il 92% degli alunni delle scuole partecipanti rientra nella fascia di peso considerata sana. Insomma, la strada è quella giusta.
Una sfida complessa
Quella portata avanti da Nesfas non è stata una sfida priva di difficoltà. Da una parte, la diversificazione dei pasti dipende dalla stagionalità e della disponibilità dei prodotti locali, e durante i mesi di magra garantire la varietà è complesso. Dall’altra, il rischio del sovrasfruttamento delle piante spontanee, che devono essere raccolte con criteri di sostenibilità. E poi i costi: il modello, infatti, richiede formazione continua, logistica, utensili per cucinare cibi che non fanno parte dei menu standardizzati.
Ma, nonostante le difficoltà, il progetto ha attirato l’attenzione a livello nazionale e internazionale. Ad esempio, il governo del Meghalaya sta valutando come integrare in modo strutturale le pratiche Nesfas nel programma nazionale, mentre alcune organizzazioni come la Fao vedono nell’esperienza indiana un caso di scuola di indigenous food systems, ossia sistemi alimentari capaci di conciliare salute, sostenibilità e cultura locale.
Nei prossimi anni l’obiettivo ambizioso è quello di trasformare questa sperimentazione in una politica più stabile, capace di raggiungere non poche scuole pilota, ma migliaia di istituti in tutto lo Stato e non solo.
