Se qualcuno farà un po’ di confusione è decisamente perdonabile. Il governo italiano ha compiuto un passo che da mesi rinviava, ovvero il recepimento della Direttiva Ue 2024/825 sulla “responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde”. Il Consiglio dei ministri l’ha approvata il 5 novembre, dopo averla inizialmente presentata nel comunicato di Palazzo Chigi e del ministero guidato da Adolfo Urso, il Mimit, come una norma “contro i green claims”. Una formula imprecisa che ha contribuito a generare confusione.
Purtroppo, almeno per adesso, la direttiva specifica sui Green Claims – che è più severa, perché impone verifiche indipendenti e basate su evidenze scientifiche – è ferma ai box anche per l’ostruzionismo di alcuni Stati membri, Italia (ahinoi) compresa. Su quella, complice qualche tentennamento di troppo della Germania, del Partito Popolare europeo e della stessa Commissione, il governo ha alzato gli argini, e per adesso la situazione non sembra sbloccarsi. Su questa, invece, ha dovuto muoversi: entro il 27 marzo 2026 l’adeguamento è obbligatorio per tutti i Paesi dell’Unione Europea.
Il Codice del consumo
La scelta, dunque, appare più di necessità che di slancio politico. Però portiamoci questo buon risultato a casa. Appunto, consideriamo il merito, che incide su un terreno dove le dichiarazioni ambientali sono diventate materia di marketing quanto di tutela dei consumatori. Il decreto aggiorna il Codice del consumo, trapiantando nel diritto nazionale il cuore della direttiva: viene ampliata la fattispecie delle pratiche commerciali vietate, dei divieti e obblighi di trasparenza specifici per le affermazioni sul profilo ambientale e sociale dei prodotti. Nel mirino finiscono le etichette e gli slogan generici o non dimostrabili — “neutrale”, “a impatto zero”, “green” — quando non supportati da evidenze attendibili, comparabili e verificabili. Non basterà più un’autocertificazione o una campagna pubblicitaria ben confezionata.
Il testo introduce definizioni più puntuali che mancavano o erano troppo elastiche: “asserzione ambientale”, “marchio di sostenibilità”, “durabilità” e “riparabilità” dei beni. L’obiettivo è quello di rendere la comunicazione sulle caratteristiche ambientali comprensibile e controllabile, così che chi acquista possa distinguere i prodotti realmente sostenibili dai messaggi che lo suggeriscono senza provarlo. Questa maggiore chiarezza tocca settori esposti a un alto rischio di greenwashing, come moda e tessile, dove l’uso disinvolto di claim eco-friendly può alterare la concorrenza, penalizzando chi investe in processi e materiali più puliti.
Gli acquisti online
La direttiva e il decreto intervengono anche sul fronte dell’informazione precontrattuale, inclusi gli acquisti online. Arrivano un avviso armonizzato sulla garanzia legale e un’etichetta della durabilità, pensati per orientare rapidamente le scelte dei consumatori: un segnale grafico comune, uguale in tutta l’Unione, che renda immediata la comparazione tra beni e riduca il margine di ambiguità. La vigilanza sull’applicazione spetta all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, chiamata a intervenire con gli strumenti già previsti per le pratiche commerciali scorrette e a sanzionare chi insiste su affermazioni fuorvianti.
Resta aperta la questione della direttiva sui Green Claims. È il testo che dovrebbe fissare come si validano le dichiarazioni ambientali: obbligo di dimostrare con dati scientifici, controlli e certificazioni da soggetti terzi indipendenti, fine dei proclami su “impatto zero” senza basi. È anche il dossier su cui il governo continua a mostrare contrarietà. Finché quel tassello non si muove, il quadro rimane incompleto: il recepimento di 2024/825 è un passo avanti su trasparenza e tutela, utile per limitare gli abusi più evidenti, ma da solo non chiude la porta alle promesse verdi costruite con sapienza comunicativa e poche verifiche.
La novità pratica è doppia per i consumatori: più informazioni standardizzate e controllabili quando si acquista, e la possibilità che l’Agcm intervenga con maggiore prontezza contro claim generici o ingannevoli. Per le imprese, specie nei comparti più esposti, si apre una stagione in cui il vantaggio competitivo passa anche dalla qualità delle prove: dati comparabili, tracciabilità, durabilità misurabile, riparabilità reale.
