Ogni anno, soltanto nel nostro Paese, oltre 3 milioni di tonnellate di cibo ancora buono finiscono nella spazzatura. Eppure, sono più di 1,7 milioni le persone che, in Italia, fanno fatica a mettere un pasto in tavola. Ma c’è chi, da più di trent’anni, lavora per cambiare questa storia. È proprio nel solco di questa contraddizione, infatti, che si muove la Fondazione Banco Alimentare, una rete che, dal 1989, recupera eccedenze alimentari da aziende, supermercati e mense per darle a chi ne ha più bisogno. E non è soltanto un gesto di solidarietà, ma anche una delle azioni più concrete per ridurre l’impatto ambientale del nostro sistema alimentare.
In particolare, oggi, l’organizzazione si impegna a recuperare alimenti da tutta la filiera, dall’agricoltura alla grande distribuzione, fino alla ristorazione collettiva, e li ridistribuisce a oltre 7.600 realtà sociali italiane. Realtà che spaziano dalle mense per poveri alle case-famiglia e alle comunità per i minori. Per citare qualche dato, solo nel 2024 il Banco Alimentare ha raccolto oltre 93 mila tonnellate di cibo per donarlo alle famiglie e alle persone bisognose, mentre nel corso degli ultimi 10 anni le tonnellate recuperate sono state oltre 400 mila. Numeri che raccontano anche un modello solidale e circolare in cui la lotta allo spreco diventa anche alleata dall’ambiente.
“Dare nuova vita al cibo”, spiega Giuliana Malaguti, responsabile comunicazione della Fondazione, “significa per noi saper vedere risorse in ciò che il mercato scarta. Significa assumere uno sguardo ‘custode’ nei confronti del cibo che ci viene affidato e che è innanzitutto un dono che può essere destinato a chi soffre di povertà alimentare”. Insomma, dietro ogni tonnellata recuperata non c’è solo una logistica, ma una visione, quella di un’economia che riconosce come valore anche ciò che non genera profitto. Continua: “Questo significa per noi dialogare e costruire partnership con diversi stakeholder, definire procedure operative in grado di garantire l’igiene e la sicurezza degli alimenti donati e di tutelare i beneficiari finali”.
Una rete solidale e sostenibile
Il Banco Alimentare agisce come una vera e propria infrastruttura nazionale, con 21 organizzazioni regionali coordinate dalla Fondazione centrale, che definisce le linee guida strategiche e intrattiene relazioni istituzionali. Nello specifico, come ha raccontato Malaguti, la Fondazione coordina le donazioni dei soggetti della filiera agroalimentare a livello nazionale e contribuisce a organizzare il recupero delle eccedenze provenienti dalla produzione agricola, dall’industria alimentare, dalla grande distribuzione e dalla ristorazione organizzata. Risultato? Una macchina efficiente che, oltre a ridurre la povertà, riduce anche l’impatto ambientale dello spreco alimentare, e che, in concreto, solo nel 2024 ha portato la Fondazione a evitare l’emissione di oltre 80 mila tonnellate di CO2.
“Questi sprechi sono causa di inquinamento ed emissione di gas serra che sono a loro volta causa del cambiamento climatico, e che generano esternalità negative nella nostra comunità”, invita a riflettere Malaguti. “Di recente, il Parlamento europeo ha adottato la revisione della direttiva quadro sui rifiuti, introducendo target vincolanti per la riduzione dei rifiuti alimentari entro il 2030. E facilitare la donazione delle eccedenze è stata la strada più efficace, anche per evitare che cibo ancora buono diventi rifiuto”. Come spiega, infatti, anche grazie alla cosiddetta Legge Gadda del 2016, il nostro Paese si distingue in Europa per le buone pratiche nella lotta allo spreco, con molti Comuni che incentivano le donazioni con riduzioni della parte variabile della Tari.
Cultura e responsabilità quotidiana
La battaglia contro lo spreco alimentare, però, non si gioca solo nelle aziende e nei ristoranti, ma anche nelle case. “Quello domestico”, ricorda Fondazione, “è un ambito fondamentale per educare al rispetto e al valore del cibo”. E proprio per questo è una realtà che si mobilita per promuovere numerose iniziative educative rivolte a scuole, imprese e cittadini, dalle esperienze di volontariato d’impresa alle campagne di sensibilizzazione con università e istituti alberghiere, fino alla diffusione di ricette anti-spreco pensate per insegnare a utilizzare gli avanzi in modo creativo.
In particolare, in collaborazione con Laura Mongiello, presidente dell’Ordine dei Tecnologi Alimentari e membro del Comitato Scientifico del Banco Alimentare, sono stati diffusi consigli pratici per ridurre lo spreco domestico: pianificare le porzioni, conservare correttamente gli alimenti, etichettare i contenitori e non confondere la data di scadenza con il termine minimo di conservazione (Tmc). “La confusione tra Tmc, suggerimento di preferenza di consumo entro una certa data, e la scadenza di un alimento è ancora tra le principali cause dello spreco nelle nostre case”, sottolinea Malaguti. “Imparare a leggere le etichette e a distinguere le due indicazioni è fondamentale. Abbiamo ancora molto lavoro da fare su questo versante, e fare rete tra soggetti diversi è strategico. A livello di istituzioni, ad esempio, sarebbe utile promuovere una campagna-progresso per informare e sensibilizzare le persone a riconoscere le differenze e a non buttare alimenti con Tmc superato, ma ancora buoni e non scaduti”.
Dalla ricerca all’innovazione
Accanto alle attività operative, Banco Alimentare investe anche nella ricerca scientifica. Dal 2022, infatti, collabora con il Food Sustainability Lab del Politecnico di Milano e con la Fondazione per la Sussidiarietà in un progetto di analisi sullo spreco alimentare in Italia per comprendere più a fondo il fenomeno.
Nello specifico, la prima fase ha riguardato il settore dell’industria, la seconda agricoltura e allevamento e la terza, attualmente in corso, esplora la distribuzione. E l’obiettivo è sempre uno: comprendere meglio dove nascono le eccedenze per intervenire in modo più mirato e sistemico. “Conoscere il fenomeno in profondità ci permette di migliorare le strategie di recupero e ampliare l’impatto sociale e ambientale del nostro lavoro, Ma anche di dialogare con le istituzioni per orientare le politiche pubbliche verso modelli più sostenibili”.
Insomma, una realtà, questa, che non è solo un ponte tra chi ha troppo e chi non ha abbastanza, ma un laboratorio di futuro: un sistema che riduce l’impatto ambientale, che sostiene la coesione sociale e che promuove una cultura della responsabilità condivisa. E dimostra che dare una nuova vita al cibo è possibile, e fa bene a tutti. Anche al Pianeta.
