La depressione colpisce una persona su venti in tutto il mondo, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Eppure, nonostante sia così diffusa, questa malattia continua a nascondere molti segreti. Perché alcuni farmaci funzionano solo in parte? Perché tante persone non rispondono ai trattamenti?
Un team di scienziati del Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi (Nico) dell’Università di Torino ha fatto una scoperta che potrebbe cambiare il modo in cui comprendiamo e curiamo questo disturbo dell’umore. I risultati, pubblicati sulla rivista Scientific Reports, mostrano per la prima volta come i neuroni di una regione cerebrale fondamentale perdano letteralmente la capacità di “accendersi” quando dovrebbero.
Quando il cervello “abbassa il volume”
La corteccia prefrontale mediale è una delle zone più importanti del nostro cervello. È lei che ci aiuta a gestire le emozioni, a reagire allo stress, a prendere decisioni. Immaginiamola come una centrale di controllo emotivo. Sapevamo già che nelle persone depresse questa area risulta meno attiva del normale, come se qualcuno avesse abbassato il volume. Ma non sapevamo il perché.
I ricercatori torinesi hanno voluto capire esattamente cosa succede a livello cellulare. Per farlo, hanno utilizzato un modello sperimentale che riproduce gli effetti dello stress cronico sui topi, dividendoli in due gruppi: quelli che sviluppavano comportamenti simili alla depressione (chiamati “suscettibili”) e quelli che resistevano allo stress (i “resilienti”).
La differenza era sorprendente. Nei topi suscettibili, i neuroni della corteccia prefrontale avevano perso gran parte della loro capacità di attivarsi in modo continuativo. Era come se, dopo pochi segnali, si stancassero e si spegnessero.
Il segreto sta nel “freno” al potassio
“Abbiamo scoperto che nelle cavie suscettibili allo stress cronico, i neuroni della corteccia prefrontale perdono parte della loro capacità di rispondere in modo sostenuto agli stimoli eccitatori”, spiega Anita Maria Rominto, ricercatrice del Nico e prima autrice dello studio. “Questo deficit di eccitabilità potrebbe rappresentare una base cellulare della ridotta attività osservata nei pazienti con depressione”,
Ma qual è il meccanismo dietro questo “spegnimento”? I ricercatori hanno scoperto che il problema risiede in un sistema di “freni” naturali dei neuroni: i canali del potassio. Questi canali funzionano come delle valvole che, una volta aperte, raffreddano l’attività elettrica del neurone, impedendogli di sparare troppi segnali di seguito.
Nei topi con comportamenti depressivi, questi freni risultavano iperattivi. I neuroni si “stancavano” troppo in fretta, con pause sempre più lunghe tra un segnale e l’altro. Due dettagli tecnici lo confermavano: serviva più energia per far partire un segnale, e dopo ogni segnale il neurone impiegava più tempo a “ricaricarsi”.
“Questi risultati suggeriscono che un’iperattività di specifici canali del potassio possa contribuire alla disfunzione della corteccia prefrontale nei disturbi depressivi”, aggiungono Filippo Tempia ed Eriola Hoxha, gli altri coordinatori dello studio.
Una porta verso nuove terapie
La scoperta è importante per almeno due motivi. Primo, perché spiega finalmente un mistero che gli scienziati inseguivano da tempo: perché la corteccia prefrontale “rallenta” nella depressione. Secondo, perché indica con precisione dove potremmo intervenire con nuovi farmaci.
I canali del potassio diventano così dei bersagli terapeutici molto promettenti. Invece di agire genericamente sui neurotrasmettitori come fanno molti antidepressivi attuali, si potrebbe pensare a farmaci che “allentino” questi freni specifici, permettendo ai neuroni di tornare a funzionare normalmente.
“Comprendere questo meccanismo apre nuove prospettive per lo sviluppo di terapie mirate a normalizzare l’attività neuronale”, concludono i ricercatori.
