25 Novembre 2025
/ 25.11.2025

Dentro l’hamburger, la mela: così gli scarti diventano l’ingrediente sostenibile

Uno studio della Cornell University dimostra che è possibile incorporare fino al 20% di residuo di mela nelle polpette di carne senza alterarne il sapore. Una strategia win-win-win per ambiente, salute e imprese

Bucce, torsoli, semi: ogni anno, a livello globale, più di quattro tonnellate di scarti di mela vengono smaltiti come rifiuti o destinati a mangimi. Eppure, secondo una nuova ricerca della Cornell University, proprio questi residui possono trasformarsi in un ingrediente prezioso per l’industria alimentare, fino a finire dentro un hamburger, senza che nessuno se ne accorga.

Secondo lo studio pubblicato sul Journal of Food Science and Nutrition, è possibile mescolare fino al 20% di pomace di mela – il residuo della spremitura per succhi e sidro – alla carne bovina senza che il consumatore senta la differenza. Durante lo studio, oltre cento assaggiatori hanno giudicato le polpette “arricchite” indistinguibili da quelle tradizionali: stesso sapore, stessa consistenza, stesso livello di gradimento.

Scarti che valgono oro

Il processo messo a punto dai ricercatori è semplice: le mele vengono spremute con presse industriali, il residuo viene liofilizzato, macinato in polvere fine, reidratato e infine mescolato con carne macinata magra. Il risultato è un prodotto che mantiene le caratteristiche organolettiche della carne, ma ne arricchisce il profilo nutrizionale.

“Il pomace è un’ottima fonte di fibre e composti bioattivi”, spiega Elad Tako, professore della Cornell University e primo autore dello studio. “Ha proprietà antiossidanti naturali e aiuta a prolungare la conservazione dei prodotti alimentari”. Contiene fino al 40% di fibra alimentare, oltre a polifenoli, pectina e micronutrienti quasi assenti nella carne rossa, e spesso carenti nella dieta occidentale.

Non solo: dal punto di vista ambientale, l’utilizzo di questo scarto riduce le emissioni di metano dovute al suo conferimento in discarica, abbassa l’impronta di carbonio degli alimenti trasformati e offre un’alternativa vegetale per integrare la carne. Per i produttori di mele e sidro – dalla Cina, primo produttore mondiale, allo Stato di New York, leader negli Stati Uniti, passando per le zone italiane dell’Alto Adige e del Trentino e per i rilevanti distretti melicoli della Polonia e della Francia – si aprirebbe una nuova opportunità economica: invece di pagare per smaltire un sottoprodotto che può arrivare al 30% del peso del frutto, potrebbero trasformarlo e rivenderlo come ingrediente funzionale.

Nonostante i risultati incoraggianti, il passaggio alla produzione su larga scala non è immediato. Attualmente, la maggior parte del pomace disponibile non è “food-grade”, cioè non conforme agli standard di sicurezza per il consumo umano. “Servono adeguamenti nei processi produttivi sin dalla raccolta”, spiegano gli autori della ricerca. Secondo gli autori, l’applicazione più promettente riguarda i contesti istituzionali, tra cui le mense scolastiche o ospedaliere, dove si servono piatti familiari in grandi quantità e dove le esigenze nutrizionali e ambientali contano quanto il gusto.

Dal cestino alla tavola: l’upcycling alimentare è una tendenza in crescita

La ricerca della Cornell si inserisce in un movimento più ampio noto come food upcycling, ovvero la trasformazione di ingredienti che altrimenti verrebbero scartati in nuovi prodotti alimentari, attraverso filiere tracciabili e a basso impatto ambientale.

Negli ultimi anni il settore ha registrato una forte espansione: secondo stime di mercato, il valore globale del food upcycling potrebbe superare i 74,8 miliardi di dollari entro il 2029. Anche sul piano operativo il trend è in crescita. Il programma Upcycled Certified® dell’Upcycled Food Association ha già riconosciuto oltre 300 prodotti e ingredienti certificati in tutto il mondo. Tra questi: farine ottenute dalle trebbie esauste dei birrifici, bevande ricavate dai noccioli di avocado, confetture prodotte da ritagli di pancetta affumicata e snack a base di polpa di semi di girasole, residuo dell’estrazione dell’olio.

L’upcycling, infine, rappresenta una delle leve per raggiungere l’obiettivo 12.3 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, che punta a dimezzare lo spreco alimentare pro capite entro il 2030 lungo tutta la catena di produzione e consumo. “È un triplice vantaggi”, conclude Tako. “Alimenti più salutari, una nuova fonte di reddito per i produttori, e un impatto ambientale ridotto”. Una piccola rivoluzione che può cominciare da ciò che normalmente butteremmo via.

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