C’è un progetto che nel corso degli anni ha generato un profondo cambiamento nel modo in cui bambini, ragazzi e comunità guardano ai propri luoghi di vita. Si chiama “Abitare il Paese“, ed è coordinato dal Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori (Cnappc) e dal Centro Loris Malaguzzi, in collaborazione con gli Ordini territoriali degli Architetti Ppc. Perché rigenerare una città non significa solo riqualificare spazi o ridisegnare edifici. Rigenerare vuol dire far crescere consapevolezza, restituire fiducia e costruire legami.
Un’esperienza, questa, nata nel 2018, e che oggi rappresenta un punto di riferimento nazionale nei processi di rigenerazione urbana dal basso, capaci di intrecciare educazione, architettura e partecipazione. “La sinergia tra le diverse realtà ha innescato processi capaci di stimolare la progettualità di ambienti innovativi nelle scuole”, racconta Lilia Cannarella, responsabile del dipartimento Partecipazione, inclusione sociale e sussidiarietà del Cnappc. “Ciò ha favorito la sperimentazione di spazi educativi più flessibili, inclusivi e sostenibili, oltre a una visione di spazio di apprendimento finalmente non più confinato tra le mura degli edifici scolastici. Allo stesso tempo il progetto, attraverso i laboratori e i processi partecipativi, ha contribuito a promuovere azioni di rigenerazione urbana dal basso, mettendo in relazione comunità, istituzioni e professionisti nella costruzione condivisa di visioni e pratiche per la trasformazione dei territori”.
Insomma, un’idea che è stata capace di ridefinire le relazioni tra scuole, città e territorio. Tant’è che, come ha sottolineato Cannarella, oggi si osserva una maggiore consapevolezza del valore dei luoghi e del senso di appartenenza. Così – dice – la scuola non è più soltanto un edificio, ma dialoga con lo spazio urbano e diventa il punto di partenza in una comunità che progetta insieme il proprio futuro; la città diventa una palestra civica e un luogo di formazione; il territorio si fa laboratorio in cui costruire consapevolezza e progettualità. Un approccio, in altri termini, che porta a immaginare questi attori come parti di un unico ecosistema formativo.
Educazione come leva per la consapevolezza
Il cuore del progetto è l’educazione. Per la referente del Cnappc, è proprio lì che si forma la cittadinanza e, di conseguenza, la qualità della città: “L’educazione è il punto di partenza per costruire comunità consapevoli e responsabili. L’investimento sulla persona, la sua educazione e formazione sono, oggi più che mai, centrali per sviluppare l’intelligenza emotiva, che può diventare intelligenza collettiva, l’unica capace di creare il cambiamento”. Il metodo è multidisciplinare e aperto: “Attraverso un approccio multidisciplinare, il progetto intreccia linguaggi e discipline, e promuove competenze chiave per comprendere e trasformare lo spazio che abitiamo”.
Dunque, nel cosiddetto “secolo delle città”, aggiunge Cannarella, la sfida è culturale perché la qualità urbana dipende dalla capacità delle comunità di immaginare il proprio futuro. E “Abitare il Paese” parte proprio da qui. Parte dai più giovani e punta a costruire una cultura condivisa della qualità dello spazio, capace di contrastare segregazione e marginalità e di generare non solo inclusione, ma anche dialogo e cura dei luoghi comuni.
Proprio con questa prospettiva, le esperienze raccolte in centinaia di scuole hanno mostrato come l’educazione alla città possa diventare un potente motore di cambiamento. Dice Cannarella: “I laboratori territoriali hanno trasformato cortili, strade, piazze, parchi e perfino spazi dismessi in occasione di esplorazione, apprendimento e progettazione condivisa. La sperimentazione di strumenti come esplorazioni urbane, mappature, urbanismo tattico e linguaggi visivi ha reso possibile un apprendimento non convenzionale, favorendo consapevolezza, critica e nuove competenze”.
Una strategia vincente? Sembra proprio di sì: “Questa partecipazione diffusa ha ampliato i confini della scuola, rendendo la città un luogo di apprendimento continuo, di relazioni e di appartenenza. Ne emerge una visione di città-comunità, in cui educazione e architettura diventano strumenti di crescita collettiva e di costruzione di futuro”. E dopo anni di sperimentazioni, i risultati sono evidenti: dove la scuola dialoga con il territorio, la cittadinanza si rafforza e le comunità diventano più coese. “È in questa rete di alleanze che nascono i cambiamenti più concreti e duraturi”, riflette Cannarella.
Un dialogo a più voci
Una sinergia simile non è certo facile. Ma “Abitare il Paese” ha voluto dimostrare che è possibile: “Questo progetto ha aperto un nuovo modo di intendere il dialogo tra professionisti, istituzioni e comunità. Negli anni, ha ridefinito il ruolo dell’architetto, non solo progettista, ma anche interprete e mediatore di relazioni, capace di attivare processi di ascolto, partecipazione e co-progettazione”.
Insomma, l’architettura, da questo punto di vista, può essere riletta come bene comune e strumento di crescita civile, in cui si abbracciano etica, estetica e responsabilità sociale. Conclude: “Sono numerosi gli esempi che nel tempo hanno prodotto veri e propri interventi di rigenerazione urbana e sociale alle diverse scale di intervento, dall’aula scolastica agli spazi esterni delle scuole, fino a interventi di quartiere: mobilità, giochi e spazi verdi, servizi, funzionalità degli spazi urbani e delle architetture della scuola, socialità e incontro. Sono solo alcuni degli ambiti nei quali si è articolata questa straordinaria esperienza”.
Insomma, “Abitare il Paese” l’ha dimostrato: per cambiare le città bisogna partire da chi le abiterà domani.
