Il Parlamento europeo ha votato per allentare e posticipare l’applicazione del Regolamento contro la deforestazione importata (EUDR), il pilastro del Green Deal pensato per impedire l’ingresso sul mercato Ue di prodotti legati alla distruzione delle foreste. Il testo è passato con 402 voti favorevoli, 250 contrari e 8 astenuti, grazie a un asse che ha unito popolari, conservatori ed estrema destra.
Secondo il mandato negoziale appena approvato, le imprese avranno un anno in più per adeguarsi. I grandi operatori dovranno rispettare gli obblighi dal 30 dicembre 2026, le piccole e microimprese dal 30 giugno 2027. La responsabilità della due diligence ricadrà su chi immette per primo il prodotto sul mercato, mentre per i piccoli operatori sarà prevista una dichiarazione semplificata. Sono stati inoltre esclusi dal perimetro giornali, libri e prodotti stampati. Tutte scelte presentate come necessarie a rendere la norma più realistica e meno pesante per le aziende.
I favorevoli: serve tempo, meno burocrazia e maggiore flessibilità
Popolari, conservatori e parte della destra hanno sostenuto che l’EUDR, così com’era, rischiava di tradursi in un freno economico più che in uno strumento ecologico. Le motivazioni ruotano attorno a tre richieste: maggiore gradualità, procedure semplificate e revisione dell’impianto informatico necessario a monitorare le filiere.
Secondo Coldiretti e Filiera Italia, il rinvio risponde a criticità reali: norme troppo gravose, rischio di distorsioni del mercato interno e penalizzazioni per agricoltori e allevatori europei. L’obiettivo dichiarato è una revisione che includa una categoria “a rischio zero” per Paesi come l’Italia e una valutazione più severa per esportatori, come il Brasile.
I contrari: “Norma svuotata, rischio greenwashing”
Il fronte ambientalista e progressista, invece, parla di netto arretramento.La verde Marie Toussaint accusa il Ppe di “smantellare il testo”, unendosi alla destra e mettendo a rischio l’integrità dell’intero impianto normativo. Il Pd e il gruppo S&D contestano soprattutto due elementi:la revisione del regolamento prima ancora della piena entrata in vigore e l’indebolimento della tracciabilità, considerata la spina dorsale della due diligence.
Rinviare e semplificare troppo significa spalancare le porte a filiere opache, favorire il dumping ambientale e rendere meno credibile la leadership europea sul clima. Annalisa Corrado (Pd/S&D) avverte che senza tracciabilità reale la lotta alla deforestazione diventa un guscio vuoto. E il capodelegazione Pd Nicola Zingaretti aggiunge: “Io penso che gli obiettivi del Green Deal siano sacrosanti. Sono giusti, vanno perseguiti. Chi non ha questo coraggio è ancorato a una visione del passato, perché tutto il mondo sta andando verso un’idea di modello di sviluppo sostenibile. Le cose che non hanno funzionato del Green Deal o la necessità di finanziare la transizione non possono essere un motivo per distruggere gli obiettivi del Green Deal. Questa è la differenza. Come ha detto Mario Draghi, chiedendo investimenti annui dall’Europa per cambiare il modello di sviluppo per 800 miliardi di euro l’anno, rispetto a quegli obiettivi ambiziosi bisognerebbe investire”.
Anche le ong sono sul piede di guerra: il Wwf denuncia una deriva che mette a rischio foreste, clima e le imprese virtuose che si sono già adeguate alla regolamentazione. Il problema tecnico dei sistemi informatici, spiegano, è diventato il grimaldello per un indebolimento sostanziale della norma.
Il nodo politico: Europa divisa fra transizione e retromarcia
Lo scontro è lo stesso che ormai attraversa tutto il Green Deal: quanto può essere rapida e quanto deve essere morbida la trasformazione ecologica?Da una parte chi sostiene che semplificare significhi rendere la norma applicabile e accettabile dal mondo produttivo; dall’altra chi teme che ogni rinvio sia un segnale di esitazione proprio mentre, alla Cop30 di Belém, le foreste sono state indicate come chiave per difendere mitigazione e biodiversità.
