2 Dicembre 2025
/ 2.12.2025

Il ritorno della foca monaca

Uno studio triennale con Dna ambientale e avvistamenti documenta la presenza del mammifero e possibili segnali di attività riproduttiva sulle coste italiane

Un cucciolo di foca monaca morto, lungo circa novanta centimetri, trovato in Calabria nel febbraio 2023. Almeno due individui avvistati più volte nel Golfo di Napoli nel 2025. Sono questi i dati che suggeriscono una possibile ripresa dell’attività riproduttiva della foca monaca nelle acque italiane (dove i dati ufficiali considerano la specie non più attiva dal punto di vista riproduttivo).

Lo indica uno studio triennale avviato nel 2023 da Fondazione Acquario di Genova Onlus, Università di Milano-Bicocca e Gruppo Foca Monaca Aps, con l’obiettivo di studiare la presenza del mammifero marino nel Mediterraneo, in particolare nel Santuario Pelagos (tra Italia, Francia e Principato di Monaco), nelle acque italiane e in altre aree del Mediterraneo occidentale dove mancavano dati per la cronica assenza di attività di monitoraggio.

Una specie ridotta a meno di 700 esemplari

La foca monaca mediterranea è in pericolo di estinzione. Secondo la Fondazione Worldrise Ets sopravvivono in natura circa 800-1000 individui di foca monaca, suddivisi in 3 sub-popolazioni, situate nel Mediterraneo orientale (Grecia, Turchia e di recente anche Cipro) e nella zona di Capo Blanco, ai confini tra Marocco e Mauritania, che è anche l’unico luogo al mondo dove la specie forma ancora una colonia numericamente significativa.

In Italia la foca monaca era considerata estinta alla fine del Novecento, anche se almeno fino al 1980 esisteva in Sardegna, nel Golfo di Orosei, un nucleo stabile di 10-20 individui. L’ultimo esemplare alle Isole Egadi fu ucciso nel 1975.

Collaborazione tra enti e cittadini-scienziati

Al progetto hanno collaborato oltre quaranta organizzazioni tra centri diving, associazioni ambientaliste, enti di ricerca, aree marine protette. Sono stati coinvolti direttamente circa 180 partecipanti, di cui circa 80persone con specifica formazione in tecniche di campionamento.

Le analisi molecolari del Dna ambientale – le tracce di materiale genetico rilasciate dagli animali nell’ambiente circostante – hanno rilevato la presenza della foca monaca in 105 casi, pari al 36% dei campioni esaminati. In parallelo, tramite la raccolta di interviste e dati fotografici, sono stati registrati 64 avvistamenti di foca monaca, di cui 55 validati.

I segnali di possibile riproduzione

Il cucciolo trovato in Calabria e i molteplici avvistamenti di due individui nel Golfo di Napoli rappresentano elementi che suggeriscono una recente attività riproduttiva nelle acque italiane. Si tratta di un fatto rilevante, considerando che i dati ufficiali non documentano riproduzione della specie in Italia.

Lo studio ha inoltre confermato la presenza di foca monaca anche nel settore più settentrionale del Santuario Pelagos, area dove la presenza del mammifero non era documentata con questa precisione.

Le femmine di foca monaca raggiungono la maturità sessuale tra i 3 e i 5 anni e partoriscono di solito tra settembre e ottobre, allattando un cucciolo all’anno in grotte vicine al mare o in spiagge riparate. I cuccioli alla nascita misurano tra 88 e 103 centimetri e pesano tra 16 e 18 chili. L’allattamento si protrae fino alla dodicesima settimana.

Le aree di maggiore presenza

Le aree di maggiore interesse per la presenza della foca monaca sono risultate l’Arcipelago Toscano, la Sardegna nord-orientale, il Mar Adriatico e le Isole Baleari, a cui si aggiungono il Mar Ligure centrale e le coste francesi e spagnole.

Segnali della presenza della foca monaca sono stati rilevati anche nel settore più occidentale del Mediterraneo, nel Mar di Alboran, a sud-ovest delle Isole Baleari. Questa scoperta potrebbe indicare che l’areale della specie si sia esteso più a ovest di quanto finora documentato.

La ricerca ha generato dati senza precedenti sulla presenza della specie nelle acque italiane, utilizzando una combinazione di tecniche di analisi molecolare e citizen science che ha permesso di monitorare aree precedentemente non coperte da attività di ricerca.

CONDIVIDI

Continua a leggere