3 Dicembre 2025
/ 3.12.2025

Rinnovabili, l’Italia frena

Tra gennaio e ottobre il numero di nuovi impianti da fonti pulite è crollato del 27% rispetto allo stesso periodo del 2024. E le comunità energetiche rinnovabili sono rallentate da burocrazia e tagli dei fondi

La crisi climatica si aggrava e c’è sempre più bisogno di energia pulita? L’Italia frena: il 2025 segna una brusca inversione di tendenza per la transizione energetica italiana. Dopo due anni di corsa, per le rinnovabili si registrano impianti in calo, produzione giù e comunità energetiche rinnovabili intrappolate dalla burocrazie dai tagli ai fondi. Il quadro, messo nero su bianco da Legambiente e Kyoto Club al Forum QualEnergia, racconta un Paese in difficoltà.

Un 2025 da segno meno

Tra gennaio e ottobre il numero di nuovi impianti da fonti pulite installati in Italia è crollato del 27% rispetto allo stesso periodo del 2024: 181.768 contro quasi 249 mila dell’anno precedente. La potenza aggiunta, 5.400 MW complessivi, segna –10,6%: mancano all’appello oltre 640 MW, mentre il totale annuo resta molto distante dal passo degli ultimi due anni.

Inoltre a pesare sulla produzione è soprattutto il crollo dell’idroelettrico (-22,8% di produzione), che trascina verso il basso il dato complessivo: 98.712 GWh nei primi dieci mesi, pari a –2,5% sul 2024. Fino all’anno scorso il trend era opposto: +13,6% nel 2023, +23,9% nel 2024, con un record di oltre 101 TWh prodotti. L’unica nota positiva arriva dal fotovoltaico, che pur installando meno impianti produce di più (+24,3%) grazie a sistemi più grandi ed efficienti.

La situazione è ancora più preoccupante se si guarda al traguardo degli 80.001 MW da raggiungere entro il 2030 con il Decreto Aree Idonee. Dal 2021 ad oggi l’Italia è arrivata a 23.099 MW: appena il 28,9% del totale. Un passo da lumaca. Dodici regioni non raggiungono neanche la soglia del 20%, con Valle d’Aosta e Molise sotto il 15%. Il Lazio guida la classifica con il 54,5% del proprio target già centrato, grazie ai 2.592 MW installati.

La geografia della transizione è dunque spaccata: alcune regioni accelerano, altre restano inchiodate a procedure che sembrano fatte apposta per rallentare.

La transizione dal basso penalizzata

Se impianti e produzione rallentano, le comunità energetiche sono in apnea. I GW incentivabili previsti entro il 2027 sono 5, ma negli ultimi cinque anni la potenza installata è di appena 115 MW: un’inezia, disseminata tra 1.127 configurazioni in tutta Italia. Lombardia, Piemonte e Sicilia guidano la classifica, ma numeri del genere non bastano neanche a scalfire gli obiettivi nazionali.

Il paradosso è che, mentre s’invoca la diffusione delle Cer, i fondi Pnrr destinati a questo scopo sono stati tagliati: da 2,2 miliardi a 795,5 milioni. Intanto in alcune aree del Paese bandi importanti vanno deserti, ad esempio in Sicilia (61,5 milioni inutilizzati), mentre in altre – come in Emilia-Romagna – il sistema funziona e gli effetti positivi sono immediati.

Il problema non sono le tecnologie, ma le regole. Autorizzazioni lente, competenze frammentate tra Stato e Regioni, decreti contraddittori. Alla lista si sommano i veti territoriali – il “non nel mio giardino” e il “non nel mio mandato” – che continuano a bloccare eolico, fotovoltaico a terra, repowering e sviluppo delle reti.

Eppure, nonostante tutto, le rinnovabili nel 2025 coprono il 42,4% del fabbisogno elettrico nazionale. Un dato buono, che però rischia di stabilizzarsi anziché crescere.

Cosa serve per ripartire

Il pacchetto di proposte lanciato al Forum QualEnergia è ampio e concreto: iter autorizzativi certi e rapidi; rafforzamento degli uffici pubblici; partecipazione delle comunità locali; accelerazione sulle reti; contratti di acquisto di energia a lungo termine per garantire prezzi più bassi alle imprese; scorporo in bolletta tra gas e rinnovabili; norme chiare e univoche sulle aree idonee; revisione del Decreto Agricoltura; stop al consumo di suolo. Per le Cer bisogna cambiare passo: procedure facili, scorporo in bolletta e una vera strategia nazionale che le consideri non un optional, ma una leva sociale oltre che energetica.

Quello che manca è la volontà politica di mettere mano ai nodi strutturali che soffocano la transizione. Perché senza una cura d’urto su autorizzazioni, regole e investimenti, l’Italia rischia di restare il Paese del sole e del vento, che sceglie di non usarli.

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