22 Dicembre 2025
/ 22.12.2025

Junk food: l’obesità che scalda il Pianeta

Una recente analisi pubblicata sulla rivista scientifica Frontiers in Sciencespiega come la diffusione globale degli alimenti ultra-processati stia contribuendo all’aumento dell’obesità e all’aggravarsi della crisi climatica

L’obesità non è più soltanto un problema individuale, e il cambiamento climatico non è più soltanto un problema industriale ed energetico. Le due crisi si stanno intrecciando sempre di più, e uno dei punti di contatto principali è il modo in cui produciamo e consumiamo cibo. Al centro di questo intreccio ci sono i cibi ultra-processati: prodotti industriali ad alta densità calorica, poveri di nutrienti e sempre più dominanti nelle diete moderne.

A evidenziareil legame è una recente analisi pubblicata sulla rivista scientifica Frontiers in Science, che spiega come la diffusione globale degli alimenti ultra-processati stia contribuendo all’aumento dell’obesità e all’aggravarsi della crisi climatica.

Cosa sono davvero i cibi ultra-processati

Snack confezionati, bibite zuccherate, piatti pronti, merendine, cereali raffinati, carni lavorate: gli alimenti ultra-processati sono il risultato di una lunga catena industriale che combina ingredienti raffinati, additivi, zuccheri, grassi e sale per ottenere prodotti economici, iper-palatabili e a lunga conservazione.

Questi alimenti sono una trappola sensoriale: alterano i meccanismi di fame e sazietà, spingendoci a mangiare di più e più spesso e tendono a sostituire cibi freschi e poco trasformati. Non a caso, secondo i dati analizzati nello studio, in molti Paesi occidentali oltre la metà dell’apporto calorico quotidiano deriva ormai da prodotti ultra-processati.

Un Pianeta che ingrassa insieme alle emissioni

Lo studio pubblicato su Frontiers in Science sottolinea come il sistema alimentare globale sia responsabile di circa un terzo delle emissioni climalteranti. Gli alimenti ultra-processati contribuiscono in modo significativo a questo impatto perché dipendono da filiere lunghe, energivore e basate sull’agricoltura intensiva.

Mais, soia, oli vegetali raffinati e zuccheri sono spesso alla base di questi prodotti, con effetti diretti su deforestazione, consumo di acqua, uso di fertilizzanti e perdita di biodiversità. A questo si aggiungono gli imballaggi, il trasporto e la refrigerazione, che aumentano ulteriormente l’impronta ambientale.

Il risultato è un gioco di specchi tra problemi ambientali e problemi sanitari: ciò che fa male al nostro metabolismo tende a fare male anche agli ecosistemi. Non per caso si parla sempre più spesso di One Health: l’approccio che prova a ribaltare la situazione lanciando un modello agroalimentare che sostiene la salute e sostiene gli ecosistemi.

Obesità: un fenomeno tutt’altro che naturale

Oggi però quel modello è ancora lontano. Secondo le stime richiamate nell’analisi scientifica, circa il 38% della popolazione mondiale è in sovrappeso o obesa. Una crescita che è stata troppo rapida per non chiamare in causa responsabilità politiche e culturali. Il sistema alimentare contemporaneo rende i cibi meno sani più accessibili, economici e pubblicizzati rispetto a quelli freschi. Parlare solo di “scelte personali” significa ignorare il contesto economico che orienta quelle scelte ogni giorno.

Uno dei punti più netti messi in evidenza dallo studio è che il problema non si risolve con l’educazione alimentare da sola: gli atti individuali non bastano. Serve un cambio strutturale: politiche agricole, fiscali e sanitarie che smettano di favorire la produzione di cibo spazzatura e rendano più facile, non più difficile, mangiare in modo sano e sostenibile.

Tra le misure considerate più efficaci ci sono la tassazione dei prodotti ultra-processati e delle bevande zuccherate, l’uso dei proventi per sostenere frutta, verdura e alimenti di qualità, regole più stringenti sulla pubblicità alimentare, soprattutto rivolta ai bambini, e un ripensamento dei sussidi agricoli. Secondo gli autori, anche cambiamenti graduali nella composizione delle diete possono produrre benefici simultanei per la salute pubblica e per il clima, riducendo emissioni, consumo di risorse e rischio di malattie croniche.

Due crisi, una sola radice

Sapere che obesità e crisi climatica non sono due emergenze separate, ma il prodotto dello stesso modello alimentare è un primo passo importante. Quelle successivo, e determinante, è cambiare il modello che punta sulla quantità, sulla standardizzazione e sul profitto a breve termine, scaricando i costi sulla salute pubblica e sull’ambiente.

Finché questo nodo non viene affrontato, continueremo a inseguire soluzioni parziali: diete miracolose da una parte, obiettivi climatici sempre più difficili dall’altra. Mentre il sistema che genera entrambe le crisi resterà intatto.

CONDIVIDI

Continua a leggere