Nelle nostre cucine e nei parchi cittadini si gioca una partita decisiva per il futuro dei suoli italiani. Il Rapporto del Consorzio Italiano Compostatori 2025 racconta un settore che è già leva industriale ed energetica, ma che oggi chiede scelte rapide per non perdere terreno. La raccolta dell’umido è ferma, la qualità del conferito peggiora e una fetta rilevante di materiale organico non arriva a essere riciclata. Ma c’è un’opportunità concreta: trasformare gli scarti in fertilità e carbonio sequestrato.
Il Consorzio Italiano Compostatori è un’organizzazione senza fini di lucro che si occupa di promuovere e valorizzare le attività di riciclo della frazione organica dei rifiuti e dei prodotti che ne derivano (compost, biometano, ecc.). Il Consorzio conta centocinquanta consorziati e riunisce e rappresenta soggetti pubblici e privati produttori o gestori di impianti di compostaggio e di digestione anaerobica, associazioni di categoria, studi tecnici, laboratori, enti di ricerca, produttori di macchine e attrezzature e altre aziende interessate alle attività di compostaggio e di gestione dei rifiuti organici.
Una rete di 363 impianti
Secondo i dati più recenti, relativi al 2023, la filiera del riciclo organico poggia su una rete di 363 impianti. Nel 2023, questi impianti hanno trattato 8,7 milioni di tonnellate di rifiuti a matrice organica, producendo circa 2 milioni di tonnellate di compost. Dalla valorizzazione dei medesimi flussi sono stati generati 475 milioni di metri cubi di biogas, convertiti in 470 GWh di energia elettrica e 80 GWh termica, oltre a 201 milioni di metri cubi di biometano destinati agli usi nei trasporti e all’autotrazione. Questi numeri certificano l’autosufficienza impiantistica e il contributo alla transizione energetica, ma coesistono con segnali d’allarme.
La sola frazione organica raccolta in modo differenziato ammonta a 5,5 milioni di tonnellate, pari a una media nazionale di 126,6 kg per abitante, con forti disomogeneità regionali. Dopo anni di crescita, però, la quantità di umido differenziato in ambito urbano è sostanzialmente stabile da tre anni, mentre la frazione verde è in lieve calo da quasi un decennio. Ancora più preoccupante è il dato sulla qualità: la purezza merceologica media scende al 93,6%, con un cosiddetto “materiale non compatibile” pari al 6,4% del conferito, e previsioni di ulteriore peggioramento. In un campione su sei non si raggiunge il 90% di purezza. La conseguenza è duplice: gli impianti lavorano sotto pressione e diventa più difficile rispettare i Criteri Ambientali Minimi, con costi e inefficienze in aumento.
Un divario strutturale
Si somma a ciò un divario strutturale tra quanto viene raccolto e quanto effettivamente avviato a riciclaggio: circa 240 mila tonnellate restano lungo la strada. Se l’Italia vuole contribuire al raggiungimento del target europeo del 65% di riciclo dei rifiuti urbani entro il 2035, rispetto a un livello attuale del 50,8%, l’incremento di quantità e qualità della raccolta dell’umido non è un’opzione, ma una condizione necessaria. Servono strumenti economici e normativi mirati: mentre su biogas e biometano gli incentivi non mancano, è la produzione e la valorizzazione del compost a richiedere sostegni più robusti e continui, perché è lì che si genera fertilità e si chiude il ciclo della sostanza organica.
La posta in gioco è alta anche sul fronte ambientale. Oltre il 60% dei suoli europei è in condizioni di degrado e quasi la metà ha livelli di sostanza organica insufficienti. Compost e digestato, derivati dal riciclo dell’umido, sono materiali capaci di restituire carbonio organico ai terreni, migliorare la capacità di trattenere acqua e nutrienti e aumentare la resilienza agli eventi climatici estremi.
Il Manifesto dell’Urban Carbon Farming
L’idea di portare la rigenerazione anche dentro e ai margini delle città nasce da questa evidenza. L’Urban Carbon Farming applica pratiche agricole rigenerative a spazi urbani e periurbani, impiegando compost e digestato per migliorare il verde pubblico e sequestrare carbonio nei suoli cittadini. Il CIC accompagna questa visione con un Manifesto dell’Urban Carbon Farming, chiamando aziende e cittadini a sostenere una visione e un insieme di pratiche concrete che puntano a rendere le città più sostenibili, vivibili e resilienti di fronte ai cambiamenti climatici.
La fotografia del settore è completata dalle attività di ricerca e innovazione. Con il progetto FER-PLAY, nell’ambito di Horizon Europe, sono state analizzate filiere di fertilizzanti alternativi, individuando – tra gli altri – compost e digestato come soluzioni ad alto potenziale tecnico, ambientale ed economico. Il progetto LIFE BIOBEST ha definito indicatori di performance e linee guida per migliorare la gestione dei rifiuti organici in Europa, puntando su sistemi di raccolta e trattamento più efficienti e orientati alla qualità. Sul terreno agricolo, il Progetto Navarra – condotto con l’Università di Bologna e la Fondazione F.lli Navarra – dimostra che l’uso del compost garantisce rese paragonabili ai fertilizzanti chimici, arricchendo al contempo il suolo di carbonio organico e fosforo e migliorandone la fertilità nel lungo periodo.
