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Cronaca

Manca Kissinger, il custode di un’epoca

30.11.2023

Washington DC, Stati Uniti, 8 febbraio 1984

Scomparso ieri Henry Kissinger all’età di 100 anni. La sua biografia sembra la sceneggiatura di un film di Hollywood. È considerato punto fermo di un’epoca per la geopolitica internazionale postmoderna e figura centrale della politica estera americana per un trentennio, nonché studioso influente per almeno il doppio, a livello individuale e nazionale.

Il diavolo e l’acqua santa: si possono così definire le due anime di Henry Kissinger, scomparso ieri a 100 anni. Figura centrale della politica estera americana per un trentennio e studioso influente per almeno il doppio, a livello individuale e nazionale, Kissinger ha incarnato il bello e il brutto degli Stati Uniti, lasciando ad accademici, giornalisti e politici la possibilità di ricordarlo secondo le proprie personali sensibilità. Per alcuni, è il burattinaio del golpe in Cile e del suicidio di Allende; per altri, l’uomo premiato con il Nobel per la fine della guerra in Vietnam. Per alcuni è il cinico secondo cui non spettava agli USA preoccuparsi degli ebrei sovietici; per altri il visionario che negoziò gli accordi di limitazione degli armamenti strategici con l’URSS.

La sua biografia sembra una sceneggiatura di Hollywood. Heinz nasce il 27 maggio 1923 a Fürth. Nel 1935 i nazisti cacciano il padre dall’insegnamento perché ebreo. La famiglia fugge in USA nel 1938, appena in tempo per evitare la persecuzione, ed il ragazzo diventa “Henry”. Naturalizzato nel 1943, deve abbandonare gli studi per il servizio militare. Un anno dopo torna in Germania con il grado di soldato e compiti di intelligence schiusi dalla perfetta conoscenza del tedesco. Torna negli USA solo nel 1947, deciso a riprendere gli studi grazie alle borse di studio per gli ex militari. Accettato da Harvard, si laurea nel 1950 e vi consegue il dottorato quattro anni dopo, con una tesi sul Congresso di Vienna. Soprattutto, insieme al suo mentore William Elliott, lancia un seminario internazionale di grande successo, che gli permette di forgiare rapporti con una generazione di futuri leader, primo tra tutti Giscard d’Estaing.

Kissinger matura allora anche il duplice convincimento della minaccia sovietica e della debole risposta dell’Occidente. Come borsista del Council on Foreign Relations pubblica Nuclear Weapons and Foreign Policy, primo dei suoi successi editoriali, al tempo stesso commerciali e intellettuali. Il libro – che vedeva la guerra atomica al tempo stesso circoscrivibile e vincibile – lo catapulta sulla scena politica nazionale e gli vale il ritorno a Harvard da professore. Da lì viene tutto il resto, dalla chiamata alla Casa Bianca con Kennedy al ruolo di consulente di Nixon, fino all’inedito doppio di ruolo di segretario di Stato e consigliere per la Sicurezza Nazionale, in pratica signore assoluto della politica estera statunitense. Con la fine della presidenza Ford, Kissinger esce per sempre dal governo. Anziché tornare all’insegnamento, si dedica alla consulenza e ai libri, con un’intensità che suscita invidia negli accademici. Letà dellAI e il nostro futuro di umani (2021) e Leadership (2022), i suoi ultimi due libri, testimoniano che restò informato, lucido e attivo fino all’ultimo.

Hollywoodiano, ma nel senso di ciò che avviene lontano dal set e deve perciò essere tenuto nascosto al pubblico adorante, è anche il suo disinteresse per i diritti umani e il diritto internazionale, che per Kissinger restarono sempre categorie sacrificabili sull’altare di stabilità e sicurezza. Entrambi gli aspetti sono riconducibili all’esperienza in Germania, ma con netta prevalenza del timore della diffusione del comunismo percepita nel 1945-47 sul trauma della fuga dal paese natale nel 1938. I documenti d’archivio confermano solo in parte la lettura infallibile di scenari ed eventi che Kissinger amava raccontare sui media e nelle autobiografie.

A poche ore dalla morte, è difficile dare un giudizio definitivo su una personalità che ha segnato nel profondo la storia delle relazioni internazionali degli Stati Uniti e, dunque, del mondo intero. Se l’ancoraggio al congresso di Vienna, suo riferimento ideale, che avrebbe portato molti a chiamarlo il nuovo Metternich, si dimostrò sempre meno utile a comprendere le sfide contemporanee, l’impareggiabile esperienza continuò a renderlo rilevante in un mondo dalla memoria corta, legato più a Google che a una vera capacità d’analisi. Anche se cinica e spregiudicata.

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