27.12.2023
Si chiama “Seasonal affective disorder”. Ecco perché non tutti vivono bene il periodo più bello dell’anno. Addirittura, il 10% della popolazione nell’emisfero settentrionale soffre qualcosa che mette la scienza davanti a uno sconcertante punto interrogativo.
È il periodo più bello dell’anno, come recita una delle canzoni natalizie in lingua inglese più famose della nostra contemporaneità («It’s the Most Wonderful Time of the Year», originariamente composta nel 1962 da Andy Williams). Eppure, il Natale non per tutti è portatore di felicità, leggerezza d’animo e voglia di festeggiare: c’è chi deve fare i conti con un inspiegato malumore proprio mentre si avvicinano le feste.
Ebbene, può tirare un sospiro di sollievo. Il fatto che questi brutti pensieri arrivino proprio a dicembre, infatti, non c’entra con i tanto attesi (e temuti) appuntamenti che il calendario ci presenta. E a confermarlo è la scienza.
Il fenomeno in realtà è noto da tempo: fu individuato per la prima volta a livello scientifico nel lontano 1984. A parlarne fu lo psichiatra sudafricano Norman Rosenthal, che sulla rivista JAMA Psychiatry definì la tristezza in corrispondenza del Natale con una sigla decisamente evocativa: SAD. Ossia “Seasonal affective disorder” (disturbo affettivo stagionale). Si tratterebbe di un problema di salute mentale a tutti gli effetti, con un’incidenza maggiore sulle donne e che colpisce circa il 10% della popolazione dell’emisfero settentrionale della Terra. E già qui abbiamo un indizio sul fatto che le feste c’entrino poco. I sintomi sono legati più al freddo e al minor numero di ore di luce solare rispetto all’arrivo del Natale.
Se da un lato chi è affetto dalla SAD combatte con un persistente malumore, dall’altro presenta spesso una stanchezza generale, che non si placa anche a fronte di lunghe dormite, e un irrefrenabile desiderio di assumere cibi ricchi di carboidrati e grassi. Dopo il lavoro di Rosenthal, la questione divenne di interesse pubblico e fu presentata anche al di fuori della stampa scientifica dal Washington Post. Nel 1987 l’ulteriore svolta: la SAD fu inclusa nel DSM, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali.
Successive ricerche stabilirono che i malumori dicembrini sono provocati proprio dalla minore esposizione alla luce solare, che influisce sul ritmo circadiano e poi anche sui livelli dei neurotrasmettitori. Dal punto di vista ormonale, invece, la stagione più buia provoca cali di produzione di serotonina (che influisce sull’umore) e fa invece crescere la melatonina. Che, se presente in eccesso nell’organismo, fa aumentare la sensazione di sonnolenza.Tutti questi studi sono proseguiti nell’arco dei decenni, e nel frattempo la scienza ha preso le distanze dalle diagnosi più ferme e risolute degli anni ’80. Già nel 2016 un questionario dei Centri statunitensi per controllo e prevenzione delle malattie (CDC) denunciava l’assenza di sufficienti prove per dimostrare la correlazione tra livelli di depressione e fattori stagionali. Nel 2019 l’ulteriore conferma: il legame tra tristezza e inverno, se esiste, è “incredibilmente difficile da dimostrare”. A maggior ragione, dunque, quello con il Natale. E quindi se in questo periodo siete particolarmente giù di corda rispetto a chi vi circonda, niente paura: non solo non è colpa vostra, ma nemmeno delle feste.