06.01.2024
In una recente intervista al quotidiano la Repubblica, Giuliano Amato ha evocato l’idea di una Corte costituzionale sotto assedio da parte della attuale maggioranza di Governo.
In particolare, secondo Amato, le annunciate riforme del premierato, unite alle imminenti nomine dei nuovi componenti, rappresentano il chiaro sintomo di come anche la Corte costituzionale sia entrata nel mirino della attuale maggioranza di governo che, secondo questa impostazione, denoterebbe la sua insofferenza nei confronti delle istituzioni preposte al controllo di legalità.
Come noto, la Costituzione Repubblicana, che il primo gennaio scorso ha compiuto il suo settantaseiesimo compleanno, scelse l’idea di un controllo accentrato sulla legittimità costituzionale delle leggi per evitare che in qualche modo il potere giudiziario potesse essere straripante rispetto all’attività del Parlamento. Ciò, a differenza di quanto accade nel sistema americano dove, per stabilire se una legge è conforme o meno alla Costituzione, è stato prescelto un sistema diffuso che attribuisce a ogni singolo giudice il potere di svolgere tale sindacato di legittimità e conseguentemente disapplicare o meno l’atto.
Una volta optato per il sistema accentrato, occorreva stabilire come e in che modo la Corte dovesse essere composta. Al riguardo l’art.135 della Costituzione prevede quindici membri, per un terzo nominati dal Parlamento in seduta comune, per un terzo nominati dal Presidente della Repubblica tra professori ordinari in materie giuridiche o avvocati iscritti da più di venti anni nell’albo, ed infine per un terzo eletti dai magistrati delle supreme magistrature ordinarie e amministrative.
Dall’entrata in vigore della Costituzione ci vollero però ben otto anni prima che la Corte diventasse operativa. E proprio i meccanismi di nomina sono stati le cause che maggiormente hanno inciso sulla organizzazione e conseguentemente sull’orientamento politico della Corte stessa.
Partiamo da quelli che hanno riguardato la nomina dei giudici della Corte da parte dei Presidenti della Repubblica. In particolare, i Capi dello Stato che si sono succeduti dal 1999 venivano da partiti di sinistra o culture di sinistra, come si può dire senza dubbi anche di Carlo Azeglio Ciampi, il quale tuttavia al momento dell’elezione non aveva tessere di partito. Il che significa che i cinque membri in carica alla Corte costituzionale di nomina quirinalizia, salvo eccezioni, non potevano che riflettere quell’indirizzo.
Stesso discorso può essere fatto per i cinque membri nominati dalla magistratura, atteso che il gioco delle correnti guidate dalla sinistra giudiziaria si manifesta compiutamente anche in questa occasione. Dei restanti cinque, di nomina parlamentare, almeno un paio sono eletti dalla sinistra. Risultato: oltre i due terzi dei giudici costituzionali, cioè un’ampia maggioranza, hanno un orientamento a sinistra e questo non può non avere un peso, diciamo così, di cultura giuridica, nelle loro decisioni, come del resto è normale e logico che sia.
Tutto ciò, ha inevitabilmente inciso sulle decisioni della Corte costituzionale che in molti casi hanno subito un riflesso condizionato dal mondo della magistratura. Basti pensare ai pronunciamenti della Corte costituzionale sul nuovo codice di procedura penale entrato in vigore nel 1989. Il riferimento è a tre sentenze emesse nel 1992, la n. 24, la n. 224 e la n. 225, che in qualche modo hanno stravolto l’originario assetto del codice di procedura penale, accogliendo di fatto le istanze della magistratura, refrattaria ad accettare le novità del processo accusatorio in nome della non dispersione di tutto ciò che era stato raccolto a livello probatorio nella fase delle indagini preliminari. Mutatitis mutandis, stesse considerazioni possono essere svolte con riferimento alle note sentenze sul Lodo Alfano del 2004, a quelle sulla distruzione delle intercettazioni tra Napolitano e Mancino del 2013, ed infine ai recenti pronunciamenti sui conflitti di attribuzione tra il Parlamento ed il Consiglio Superiore della Magistratura.
Esempi non esaustivi, certo, ma significativi per dimostrare come, a distanza di 76 anni dall’entrata in vigore della Costituzione, sembra quanto meno azzardato gridare all’attentato all’autonomia ed indipendenza della Corte. Semmai, molto più appropriata sarebbe una riflessione sugli sconfinamenti politici che in tante occasioni le decisioni della Corte hanno assunto in questi anni, e ciò in maniera difforme da quanto ipotizzato dai nostri Padri costituenti. Si tratta di un argomento che, al di fuori di sterili polemiche, potrebbe essere sviluppato nell’ottica di un ammodernamento delle istituzioni di garanzia nelle odierne democrazie.