1 Novembre 2024
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Combattenti della sala operativa congiunta delle fazioni armate palestinesi vicino a Rafah, mentre attraversano il confine nel sud della Striscia di Gaza con l'Egitto.

Punto a Capuo

Il tesoro di Hamas

14.02.2024

Dal Cairo, dove le delegazioni di Israele e Qatar, Stati Uniti ed Egitto discutono sulla questione degli ostaggi, filtra un cautissimo ottimismo sull’altra, drammatica, emergenza: l’offensiva israeliana su Rafah, l’ultimo fortino di Hamas. Israele, che non ascolta gli inviti della Casa Bianca a fermarsi (e neanche quelli della Cina, del resto) ha presentato un piano che prevede l’evacuazione dei civili in quindici aree sicure sulla costa. Ma a tener banco, nei corridoi della diplomazia è stata la decisione di Israele di dichiarare Francesca Albanese, italiana e alto funzionario delle Nazioni Unite, persona non grata.

Apparentemente, il “casus belli” sta in un tweet della Albanese in cui criticava Macron, attribuendo l’orrore del 7 ottobre non all’antisemitismo, ma alla ribellione contro l’occupazione. Giusta o sbagliata che fosse, non era la sede né il tipo di dichiarazione che ci si aspetta da un funzionario delle Nazioni Unite. Ma dietro il “casus belli” ci sarebbe qualcosa di peggio. Non è solo l’antico conflitto di incomprensioni tra Israele e le Nazioni Unite. E neppure solo le evidenze emerse su fatto che alcune strutture dell’UNRWA, l‘agenzia che da 75 anni si occupa dei rifugiati palestinesi in Medio Oriente, erano state utilizzate da qualcuno per nascondere armi ed esplosivi. Il “di più” è la scoperta, proprio sotto la sede UNRWA di Khan Yunis, di una stanza che potremmo chiamare “dei bottoni”.  Cioè, non solo il sospetto che l’agenzia diretta dallo svizzero Philippe Lazzarini abbia accertato troppo tardi che suoi dipendenti militassero in Hamas, né che abbiano scoperto solo ora che qualcuno utilizzava alcuni magazzini come piccole polveriere, ma la convinzione che l’URWA non poteva non sapere che sotto la sua sede ci fossero potenti computer e un vero archivio digitale. Gli israeliani l’hanno chiamato l’“Hamas server farm”, la fattoria digitale di Hamas. E sostengono di avervi trovato un tesoro. Cioè: il coinvolgimento dei servizi iraniani nella preparazione delle stragi del 7 ottobre; l’esistenza di contatti tra Hamas e politici e diplomatici occidentali; la presenza di una quinta colonna palestinese nelle istituzioni israeliane e la schedatura da parte di Hamas di migliaia di palestinesi di Gaza considerati ostili. E, goccia nel caso Francesca Albanese, la natura amichevole di rapporti tra Yahya Sinwar, il ricercato numero 1, e l’UNRWA. Tutto plausibile, tutto da dimostrare.

Ma il tesoro scoperto potrebbe rivelarsi più prezioso di quella montagna di shekel – 5 milioni di euro, al cambio – trovata pochi giorni prima in un’altra sede. Nel bilancio di Hamas (360 milioni di dollari l’anno dal Qatar, 350 dall’Iran, 350 dalle tasse dei cittadini di Gaza, ecc.) è una goccia. Il tesoro trovato da Israele nella “farm” è fatto di informazioni, che in guerra non si svalutano mai.

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