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Cronaca, Scienza e tecnologia, Sicurezza, Società

Pericolo smartphone, tempi di regole

16.05.2024

Ci si è resi conto dell’impatto della iperconnessione sulla nostra società. Non basta vietare o dare soluzioni individuali al problema. Tecnologia e società si modellano a vicenda; le piattaforme diventano spazio di espressione che modella le identità dei giovani. Occorrono scelte socio-politiche. La Francia si accorge. Intervista all’esperto.

Una nuova analisi, commissionata dal Presidente francese Emmanuel Macron, indaga il fenomeno dell’iperconnessione di bambini e ragazzi: dagli interessi economici delle grandi aziende agli effetti negativi della sovraesposizione agli schermi e dell’uso dei social media. Ne abbiamo discusso insieme al sociologo Cosimo Marco Scarcelli, Professore dell’Università di Padova ed esperto di media digitali, new media literacy e media education.

Il Rapporto suggerisce una scansione per età nell’accesso allo smartphone e ai social: dagli 11 anni ai 13 no allo smartphone, dai 13 ai 15 sì all’uso ma senza connessione, dai 15 accesso ai social in modo controllato. Cosa ne pensa?
«La cosa più interessante è che ci siamo finalmente resi conto dell’impatto di queste tecnologie nella vita quotidiana delle persone. È vero che ci sono dei rischi e che oggi assistiamo a un’economia dell’attenzione, ma rischiamo di guardare solo una parte della realtà. Il problema sta nell’approccio, si continua a dare soluzioni individuali a problemi sociali. Puntiamo il dito sempre sui minori, vietiamo al singolo l’uso di questi strumenti, senza una visione collettiva, non si va a colpire le piattaforme, che hanno sempre più potere. Invece si dovrebbe lavorare su un piano comunitario e legislativo. La scansione per età è una semplificazione che si fa spesso, ma i giovani non sono tutti uguali. E poi chiediamoci, stiamo dando soluzioni alternative ai ragazzi? Per i più piccoli, tutto il peso ricade sulle famiglie, che devono gestire la quotidianità dei figli. Per i più grandi, ormai mancano molti spazi di socialità, piano piano sono stati messi tutti sotto una campana di vetro e cercano altre vie d’uscita, usano questi strumenti per socializzare. Inoltre, si guarda sempre ai rischi, ma dicendo a un ragazzino di non usare lo smartphone si stanno togliendo anche delle opportunità».

Nell’analisi si parla di rischio di ansia e depressione provocato dai social in situazioni di preesistente vulnerabilità. In generale, qual è il rapporto tra i social e la sfera identitaria, psico-emotiva e relazionale?
«Nelle scienze sociali si chiama mutual shaping il rapporto di scambio tra tecnologia e società, che si modellano a vicenda. Le piattaforme online sono una fonte di modelli identitari, uno spazio di creazione dell’identità nel gruppo dei pari e di costruzione di linguaggio comune, che serve a prendere distanza dal mondo degli adulti. E sono spazi di espressione del proprio sé, anche se non in forma totalmente libera. Rispetto alle relazioni, sicuramente qui qualcosa è cambiato: siamo in perenne connessione con l’altra persona, condividiamo i nostri dati, ci geolocalizziamo a vicenda. Ma i media digitali sono sempre tutto il contrario di tutto: fornire i nostri dati agli amici o al partner può essere un modo per tenersi in contatto, ma si può sfociare anche in un forte controllo verso l’altro. Questo è prodotto dal fatto che noi socialmente diamo per scontato sia così, non dalla tecnologia. Esse sono parte del cambiamento, possono amplificare le cose negative, ma possono anche smorzarle».

Un’educazione verso questi media può migliorare la situazione?
«Dare delle regole sull’uso dei social deve dialogare con la vita quotidiana dei ragazzi. Un’educazione è utile, ma va affiancata a scelte socio-politiche di più ampio raggio».

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