13.07.2024
Le identità, per Bauman, sono fissate e solide solo se viste dall’esterno. È “verosimile” che sostenere di essere privi di identità cancelli davvero le differenze, i problemi, la paura dell’inconsueto? O ci renda consapevoli della colonizzazione ideologica di aree definite di minor progresso solo per acquistare un termine di paragone?
I nostri viaggi estivi all’estero possono farci riflettere sulla questione delle identità etniche? L’abitudine di viaggiare per il tramite di voli aerei, magari low cost, può contribuire a mettere in discussione il nostro concetto di diversità culturale e promuovere cambiamenti interiori che ci rendano capaci di vivere e conoscere, dall’interno, culture ancora inesplorate e distanti geograficamente? Il sociologo Zygmunt Bauman, nel suo libro “Modernità liquida” affronta il tema dell’identità intesa nella sua “fluidità” e sottoposta a “correnti incrociate”.
Le identità, per Bauman, sono fissate e solide solo se viste dall’esterno, ma in realtà volubili come costruzioni da poter fare e disfare. L’etnicità, egli sostiene, è il modo per “scavarsi una nicchia” da difendere nel più ampio spazio del destino comune. Riduzioni, occultamenti, costruzioni artefatte che non terrebbero conto del flusso continuo che determina, invece, continui cambiamenti, incontri, incroci che non “sostituiscono”, ma “integrano” ed “evolvono”. La mobilità, la comunicazione, anche social, ci permettono di conoscere, almeno in parte, e di far nostre, le consuetudini, le espressioni, le rappresentazioni del mondo, il know–how di gruppi di persone distanti per via della geografia, mentre questa corretta visione di sé e degli altri concederebbe la giusta percezione della “realtà”. Allo stesso modo, le relazioni interpersonali, lo scoprirsi “simili”, nei sentimenti, nelle emozioni, a persone che possiamo raggiungere solo accorciando le distanze materiali, virtuali, sono armi in grado di demolire quelle barriere che ci separano dalle diverse culture. Realtà o realismo? Vero o verosimile?
Mark Fisher, altro sociologo, parlava di “realismo” come di quel cinismo che cancella ingannevolmente ogni ideologia, nella quale, invece, si è immersi senza rendersi conto. Chi crede di non cedere a nessuna ideologia, di smascherarla, di poterla annientare, ma coopera seguendo quei canoni, ne è parte in maniera peggiore, perché senza saperlo. È allora “verosimile”, volendo migliorare il termine, che sostenere di essere privi di identità cancelli davvero le differenze, i problemi, la paura dell’inconsueto? Che ci renda consapevoli della colonizzazione ideologica di aree definite di minor progresso solo per acquistare un termine di paragone (o ancor peggio per i nostri interessi commerciali) e per farci sentire Paesi “sviluppati”? Cosa si prova, d’estate, viaggiando lontano dalle nostre “zone” di comfort? Quanto è in gioco della nostra personalità, dei valori che sentiamo nostri, che desideriamo preservare da attacchi esterni? Viaggiamo a contatto con persone che abitano quei territori o preferiamo villaggi popolati di amici? Per gli psicologi il fenomeno viaggio non è mai solo un’esperienza nella realtà esterna, si configura, piuttosto, come un percorso interiore dell’individuo che richiama le fasi della vita. Che posto hanno, in questo cammino, gli incontri e come ci invitano a seguire quella direzione?