01.08.2024
Più vero del reale, Temptation Island ribalta i canoni e costringe un prodotto culturale come Noos a farsi da parte. Il reality show soppianta la cultura e interpreta il diktat dell’Auditel a uso e consumo di chi ci vuole tutti “spettatori imboniti piuttosto che cittadini responsabili”.
Chiamateli, se volete, eroi dei nostri tempi. Per loro «il mondo esiste attraverso l’artificio e la simulazione» (Baudrillard), tutti galleggianti sulla zattera della finzione trasformata in verità “più vera del reale”, per dismettere il costume ascellare alla Fantozzi e vestire il bikini striminzito della esibizione di effusioni e sentimenti. Alex e Vittoria, Raul e Martina, Jenny e Tony, Siria e Matteo (con il falò di confronto e le lacrime finali anche del conduttore Filippo Bisciglia) ovverosia le quattro coppie rimaste all’interno del villaggio l’Is Morus Relais (a Santa Margherita di Pula, sud della Sardegna), imbrigliate nel ginepraio di faccia a faccia reciproci e richieste di chiarimenti, che ha trasformato Temptation Island, targato Mediaset (e prodotto dalla Fascino della lungimirante Maria De Filippi), nel reality show più fortunato degli ultimi tempi con striscia di consensi e polemiche.
Una sorta di lettino da psicanalisi o confessionale insulare di un gruppo (14 protagonisti, non sposati e senza figli in comune) separatosi per 21 giorni, in due luoghi differenti, per affrontare distacco, sofferenze e pene d’amore, un garbuglio di sentimenti messo a dura prova da tentatori e tentatrici (26) pronti a innescare la trappola delle lusinghe. Insieme a rivelazioni anticipate davanti a un falò nel Pinnettu, per chiarire posizioni e sincerarsi del valore durevole della relazione con i rispettivi/e partner. Un viaggio nei sentimenti di chi sente vacillare il proprio amore e cerca di passare indenne attraverso la graticola di potenziali rapporti d’amicizia, abbassando le difese o rafforzando le convinzioni di partenza. I teorici (alla Freccero) della necessità di “mescolare l’alto e il basso” hanno smarrito per strada la strada mediana, schiacciata tra il becero trash di un prodotto culturalmente deficitario che (però) distrae, intrattiene le masse, e quello di nicchia, presidio snob degli intellettuali che ambisce alla perfezione, anche se oscuro, se non ostico.
Il medio, il pop, allora, si traveste e lascia spazio al senso di leggerezza e a quella propensione voyeuristica di tempi inossidabili, allorquando si ficca il naso nelle vicende altrui innescando la miccia del pettegolezzo e del predicozzo sermoneggiante. Al punto che i reality show, nell’«offuscare la linea che separa la finzione dalla realtà» (Slavoj Zizek) diventano fedeli interpreti della società, a dispetto di un programma (Angela docet) che prova ad anticipare una nuova forma di alfabetizzazione. Con l’ultimo emblematico esempio di Temptation Island/Noos, cioè il chiacchiericcio ludico fine a se stesso (anche se ammantato di buone intenzioni radical-psicoanalitiche) nella risacca di sentimenti confusi, contrapposto a storie, interviste e servizi del percorso di ricerca su base scientifica di un garbato promotore di idee come Alberto Angela. Un miserando 11,5 % sopraffatto dal 31,8 % di share “isolano” dell’ultima puntata. Numeri impietosi che hanno consigliato mamma Rai (sempre ondivaga nella pianificazione ipocrita, serva di più padroni) a congelare Noos fino ad agosto inoltrato, fagocitata da una dittatura di ascolti (Auditel) prestata al marketing che impone stili di vita e tendenze al consumo, celando le incongruenze di un sistema gestito da lobbies commerciali, non rappresentativo dei gusti (veri) della popolazione italiana. Per Mediaset l’obiettivo non è produrre programmi ma telespettatori, “venduti” in stock agli inserzionisti pubblicitari che, legittimamente, non hanno una visione sociale, ma solo commerciale. Il vero editore è il successo di una trasmissione, non il suo valore. E il successo si misura in numeri. Per la Cultura… si consiglia di ripassare.