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Economia, Lavoro

Osservazioni sul diritto alla disconnessione

06.09.2024

Si allunga la lista dei Paesi che hanno regolamentato questo diritto a livello legislativo. Ultima è l’Australia, dopo che nel 2023 ha visto ogni suo lavoratore impiegare 281 ore in più del proprio tempo, accumulando un totale di perdite per un controvalore di carica 79 miliardi di euro a livello nazionale. In Italia è tutto da rivedere.

Il tema è sempre più caldo, ma evidentemente c’è ancora tanto da fare. In ogni caso, si allunga la lista dei Paesi del mondo che hanno riconosciuto il diritto alla disconnessione come un principio da regolamentare a livello legislativo: l’ultimo dell’elenco è l’Australia. Su questo fronte l’Italia è in ritardo ma, sempre ammesso che sia un elemento di conforto, sicuramente non siamo soli in tal senso.
La questione del diritto alla disconnessione esiste da quando nel mondo del lavoro si sono sviluppate modalità “smart” (collegamenti da remoto, archiviazione dei documenti in cloud, videochiamate, videoconferenze e simili). La sua attualità è divenuta quindi stringente in epoca di Covid e di lockdown: dal marzo 2020 in poi, per mesi e mesi, lavorare da casa divenne per molti non più un’opzione, ma una necessità. Ciò ha però dato vita a fenomeni che sono sopravvissuti anche al giorno d’oggi.

Il lavoro in epoca post-pandemica resta profondamente pervaso dall’utilizzo di tecnologie digitali che in precedenza erano appannaggio soprattutto della vita privata. L’abitudine a contattare, anche fuori dai turni di lavoro, colleghi e (soprattutto) dipendenti via sms, e-mail e programmi di messaggistica istantanea come WhatsApp si è trasformata in una vera e propria abitudine dura a morire. Le cui conseguenze, almeno in Australia, sono state scritte nero su bianco.
«Un tempo si finiva il proprio turno, si tornava a casa e i contatti con i superiori si interrompevano fino al giorno dopo. Oggi, a livello globale, ricevere telefonate, e-mail e messaggi di lavoro nelle ore di riposo è diventato la norma. E succede anche nei giorni di ferie», ha evidenziato John Hopkins, professore associato alla Swinburne University of Technology. Secondo l’Australia Institute, inoltre, nel solo 2023 ogni lavoratore del Paese ha lavorato in media 281 ore in più a causa di questo fenomeno. Peraltro, spesso senza retribuzione, perdendo così in totale un controvalore di quasi 79 miliardi di euro.
Per tutte queste ragioni, l’Australia si è mossa con una legge molto chiara già in vigore dal 26 agosto: ogni dipendente può ignorare senza ripercussioni tutte le telefonate o i messaggi del proprio capo in qualunque forma (incluse quindi le e-mail), se arrivano fuori dai turni di lavoro concordati. È appunto il diritto alla disconnessione, che in un Paese a noi geograficamente vicino come la Francia è regolamentato da una legge addirittura dell’8 agosto del 2016. Provvedimenti sono intanto arrivati, tra le altre, in Spagna (2018) e Belgio (2022).
E l’Italia? Da noi il tema è sì affrontato, nella legge n° 81 del 22 maggio 2017 sullo smart working, ma qualcosa manca. Il testo prevede infatti, nel suo articolo 19, che il titolare debba fare espressamente riferimento ai tempi di riposo del dipendente e alle misure che ne garantiscano la disconnessione da strumenti utilizzati per lavoro. Non ci sono però indicazioni su tempi di disconnessione garantiti e uguali per chiunque. E forse è proprio questo l’ultimo passo da percorrere per limare il gap con chi ha davvero affrontato di petto la questione.

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