08.09.2024
La società in sé racchiude i germi di tutti i delitti che vengono commessi. Ma governare significa anche designare il modo in cui la condotta degli individui può essere diretta. Vincere nel gioco non è vincere alle regole del gioco.
Accade, a volte, che ci piacciano nelle persone quelle componenti che possono aiutarci a “migliorare” la nostra vita. Trovarsi in luoghi emozionanti, frequentare amici stimolanti, “abitare” contesti “degni” delle nostre aspettative e dei nostri talenti possono divenire le ragioni dell’attaccamento a conoscenti capaci d’incarnare questa prospettiva. Oppure, si rende necessaria, per contrastare l’infelicità, la conquista di piaceri immediati, ma fuggevoli, col minimo sforzo. Una dimensione di pensiero, una “vision”, diremmo ai nostri tempi, che sembra rivelare una bassa dose di autostima, ma anche un “sostrato” culturale, dove ci si sente immersi, insoddisfacente rispetto alle proprie possibilità. Emozioni, interessi che finiscono dopo aver raggiunto il grado di realizzazione prestabilito, divenendo ingombranti sagome svuotate di significato che offuscano il rinnovato sguardo, escludendo ben più ampi orizzonti.
È un esempio forse un po’ banale, ma che può aiutarci a comprendere però i conflitti, molto più gravi, che nelle scienze criminali hanno visto contrapposte cultura e sottocultura, aspirazioni e possibilità. Si tratta di uno dei lati oscuri del crimine, individuato dagli scienziati sociali per comprendere le dinamiche della sua insorgenza e per stabilire strategie e politiche di governo, più ampie rispetto alla mera definizione di norme giuridiche o utili alla loro strutturazione, da attuare per garantire la sicurezza delle persone nei contesti territoriali di riferimento. Michel Foucault evidenziava, nel sedicesimo secolo, che il termine “governo” designava anche il modo in cui la condotta di individui poteva essere diretta. Dopo i noti studi dedicati alla causa biologica e patologica del crimine di Cesare Lombroso, l’attenzione si è spostata anche sulla possibile origine sociale e addirittura funzionale dello stesso, con i primi studiosi di statistica e sociologia.
«La società in sé racchiude i germi di tutti i delitti che vengono commessi», annunciava alla fine dell’Ottocento, tra gli statistici morali, Adolphe Quételet. Il reato diverrà poi, per altri, un fenomeno “normale”, utile alla società. Non solo. Alcuni elementi di questa “struttura sociale” vanno isolati per essere compresi. Per Robert King Merton, tra questi, ci sono le mete definite culturalmente che si presentano, quindi, come obiettivi legittimi per ogni componente della società, “anche in posizioni sociali diverse”. Per Merton il comportamento “aberrante”, in tema di criminologia, poteva essere considerato un sintomo di dissociazione tra le aspirazioni prescritte culturalmente e «le vie strutturate socialmente per la realizzazione delle stesse aspirazioni». L’uso della forza, della frode, ma anche dello stesso potere o le norme istituzionalizzate limitano la scelta degli espedienti per raggiungerle. Vincere nel gioco non è vincere alle regole del gioco, ma equivale a scegliere il mezzo più efficace, anche se illegittimo, rispetto alla condotta prescritta istituzionalmente.