16.09.2024
Cronaca, Economia, Occhio di Pernice, Politica
Perché la ricetta di Draghi è un vero alert?
Si tratta di “materia destinata ad essere fonte di ispirazione per i mesi e gli anni a venire”, secondo la presidente Von der Leyen. Le 170 raccomandazioni dell’ex capo della Bce meritano una profonda riflessione per evitare il tracollo della competitività europea. Il focus.
La ricetta di Mario Draghi, promulgata nei giorni in cui soprattutto il Bel Paese si è destato dalla pausa delle vacanze d’agosto, ha suonato come una sveglia per chi era ancora convinto che potessimo cavarcela in qualche modo, ovvero trovare comunque sbocchi all’economia italica, nonostante l’Unione Europea si affanni a misurarsi nel campo della produzione con Cina e Stati Uniti. Qualcuno si è rifatto al famoso intervento tenuto da Sergio Marchionne nel 2013 all’università Bocconi di Milano, sul tema del «provincialismo italiano», alla voce “In ferie”…«In ferie da cosa?».
A Draghi, che non si sottrae agli inviti a reiterare territorialmente il sunto del suo rapporto sulla competitività dell’Europa, non viene chiesto un simposio taumaturgico, quanto piuttosto di entrare nei dettagli e spiegare meglio quali strategie privilegiare. La preoccupazione ricorrente nei più è quella di dovere affrontare cosiddetti “sacrifici”, che andrebbe tradotto in “rinunce” da una parte a beneficio del guadagno in termini di competitività dell’assetto generale, vuoi di un’azienda che di un sistema. Ovvio che le soluzioni proposte non possano essere parcellizzate e distribuite come compiti in classe, ma facciano parte di un progetto di cambiamento radicale, soprattutto perché l’avanzare, o sarebbe meglio dire l’incombere, delle tecnologie rischia di ridimensionare i punti forti del vecchio continente.Il rapporto di Mario Draghi merita una profonda riflessione, tenuto conto che in esso sono contenute 170 proposte che equivalgono ad altrettante raccomandazioni. Non siamo in presenza del “chi più ne ha, più ne metta”, ma del risultato di uno studio approfondito e ponderato. E neppure appare possibile fare una classifica delle priorità, perché ogni voce richiama ineludibilmente le altre. Von der Leyen aveva preannunciato il lavoro dell’ex capo della Bce, edulcorandolo e definendolo «materia destinata ad essere fonte di ispirazione per i mesi e gli anni a venire», prima di avere conferma che si trattasse di un vero e proprio alert.
Qual è, dunque, la sintesi delle raccomandazioni di Draghi per evitare il tracollo di competitività nella UE? Partendo dall’assunto che le spese per gli investimenti sono le stesse di 20 anni fa, la prima cosa da farsi è “rimuovere le barriere che impediscono di commercializzare le innovazioni”, fornendo strumenti e spazio di azione alle imprese come alle startup e impedendone la fuoriuscita dall’Europa. E, conditio sine qua non, aumentare la quota di investimenti in UE di cinque punti percentuali sul Pil, con l’obiettivo di “digitalizzare e decarbonizzare l’economia e aumentare la capacità europea di difesa”. In più, garantire finanziamenti per 800 miliardi di euro all’anno da investire nei settori della difesa e dell’industria, a partire dalle automobili e nel campo delle fonti rinnovabili. Forse andrebbe aggiunta la risorsa della semplificazione, il freno occulto ad ogni intrapresa.