Con il cambiamento climatico in atto, l’Artico attira gli interessi strategici economici e militari delle grandi potenze. Sia di quelle che si affacciano sull’Artico come la Russia e gli Stati Uniti con i loro alleati Nato (canadesi, norvegesi e danesi). Che della Cina, che non ha basi nell’area né è uno Stato artico ma punta ad usare la rotta artica e vorrebbe acquisire concessioni minerarie in Groenlandia, per tutelare la propria leadership nei minerali strategici. La Groenlandia, formalmente non parte dell’Ue ma sotto amministrazione della Danimarca, militarmente è dal 1941 sotto controllo americano. Gli americani infatti la occuparono nel 1941, poco dopo che i tedeschi avevano preso il controllo della Danimarca, e la tennero fino al termine della Seconda guerra mondiale, creando diverse stazioni radio che poi divennero basi militari.
A partire dall’estate del 1941, la Guardia Costiera statunitense e il Dipartimento della Guerra istituirono stazioni meteorologiche e radio presso l’aeroporto di Narsarsuaq (Bluie West-1), la base aerea di Sondrestrom (Bluie West-8), Ikateq (Bluie East Two) e Gronnedal (Bluie West-9). Nel 1943 le Forze Aeree dell’Esercito installarono le stazioni meteorologiche di Scoresbysund (Bluie East-3), sulla costa orientale intorno alla punta meridionale della Groenlandia, e di Thule (Bluie West-6).
Thule, avamposto nell’Artico
E proprio Thule fu una delle basi principali. La base aerea di Thule fu costruita in segreto con il nome in codice di Operazione Blue Jay, e il progetto fu reso pubblico nel settembre 1952. La costruzione della base aerea di Thule iniziò nel 1951 e fu completata nel 1953. Thule divenne un punto chiave nella strategia di rappresaglia nucleare americana. I bombardieri dello Strategic Air Command (SAC) che da lì decollavano per sorvolare l’Artico erano una minaccia concreta per i piani sovietici. E dal punto di vista difensivo, Thule poteva servire come base per intercettare gli attacchi dei bombardieri lungo le rotte artiche di attacco al Canada e agli Stati Uniti occidentali.
Da notare che il 21 gennaio 1968, un B-52G Stratofortress del 380° Stormo Aerospaziale Strategico, durante un’allerta nucleare aerea segreta, si è schiantato sul ghiaccio vicino alla Base Aerea di Thule. L’impatto ha azionato gli esplosivi ad alto potenziale delle unità primarie di tutte e quattro le bombe nucleari B28 trasportate, ma le reazioni nucleari e termonucleari non hanno avuto luogo a causa dei meccanismi PAL e di sicurezza delle armi, impedendo così l’effettiva detonazione delle armi stesse. L’incendio che ne è derivato ha però causato una vasta contaminazione radioattiva nella zona.
Nel 1959, la base aerea fu il principale punto di partenza per la costruzione di Camp Century, a circa 240 km da Thule. Scavata nel ghiaccio e alimentata da un reattore nucleare, PM-2A Camp Century era ufficialmente una base di ricerca scientifica, ma in realtà era la sede del segretissimo Progetto Iceworm. L’obiettivo era quello di installare una vasta rete di siti di lancio di missili nucleari – una versione “corta” dei Minutemann – in grado di sopravvivere a un primo attacco.
La calotta glaciale della Groenlandia, in movimento come ogni ghiacciaio, non si rivelò però adatta ad ospitare i silos e gli americani (che peraltro non ebbero mai il consenso danese all’installazione dei missili) nel 1967 la abbandonarono. La base di Thule è invece più che mai operativa. Fino al 1981 dello Strategic Air Command, dal 1982 dell’Air Force Space Command, ospitando tra l’altro uno squadrone di allarme precoce per i missili balistici, progettato per rilevare e tracciare gli ICBM lanciati contro il Nord America. Nel 2020, la base aerea di Thule è stata formalmente trasferita alla United States Space Force e il 6 aprile 2023 è stata rinominata base spaziale di Pituffik.
Altra base aerea importante per gli Stati Uniti in Groenlandia è stata quella di Sondrestrom, controllata senza soluzione di continuità, tranne un breve periodo all’inizio degli anni ’50, fino al 30 settembre 1992.
Groenlandia sotto ombrello Usa
Di certo, anche senza i ripetuti tentativi di Washington di acquisire l’isola – reiterati ora da Donald Trump, come già fece nel suo primo mandato – una cosa è certa: gli Stati Uniti considerano la Groenlandia parte inalienabile del loro spazio di difesa. Lo si è visto tra l’altro nel 2018, quando il primo ministro groenlandese dell’epoca ha chiesto un prestito a banche cinesi statali per finanziare il progetto di tre aeroporti, tramite incontri d’intesa con il governo della Danimarca. Parte del progetto serviva a un ampliamento dell’aeroporto di Nuuk, la capitale groenlandese.
Sembravano essere disponibili ad accettare l’accordo, che avrebbe previsto un prestito dell’equivalente di 555 milioni di dollari, a condizione che la costruzione fosse stata affidata a imprese cinesi. Ma a Washington è suonato l’allarme rosso. Il timore era di vedere il bis – se il governo Groenlandese avesse avuto difficoltà a ripagare il debito – di quanto successo in Sri Lanka, dove il governo, incapace di restituire il prestito cinese per la costruzione di un porto, ha dovuto concedere in affitto il porto un’area di 60 chilometri quadrati per i prossimi 99 anni. E se i cinesi avessero proso il controllo degli aeroporti e magari avessero lì schierato jet militari? Non sia mai. Il governo danese è stato chiamato a rapporto e redarguito al punto che ha accettato di costruire con finanziamenti danesi due dei tre aeroporti, lasciando ai (pochi) fondi groenlandesi il finanziamento del terzo. Ma niente banche cinesi. Per Pechino, un’occasione mancata.