18.11.2024
Spinti dalla curiosità, al summit di Rio de Janeiro si presentano tutti i BRICS. Ma perché tanti Paesi tengono il piede in due staffe, con l’occidente e contro di esso? Osservazioni sul peso effettivo degli eventi globali.
A Rio de Janeiro, per una due giorni sulle sfide globali, arrivano capi di Stato e di governo che rappresentano il 75% del mercato globale e il 95% del PIL mondiale. La carica dei BRICS? Macché, è il vecchio G20, ospitato da quel Brasile il cui nome è la prima lettera dell’alleanza antioccidentale tanto cara a media e analisti. È la prima contraddizione del vertice, che si svolge nell’interregno tra la presidenza Biden e quella Trump, per molti versi temuta come minaccia all’idea stessa del coordinamento delle politiche economiche dei partecipanti.
In verità, i BRICS ci sono tutti e il G20 di Rio è in realtà un G19, perché il ventesimo partecipante è l’Unione Europea) o addirittura un G21, se si conta anche l’Unione Africana. Oltre ai suoi fondatori– compresa la Russia, ancora presente benché esclusa dal G8 in attesa di capire gli orientamenti della prossima amministrazione USA – a Rio convergeranno altri Paesi che guardano con curiosità ai BRICS, prima tra tutti l’Arabia Saudita. Membri a parte, i due consessi divergono soprattutto per l’agenda. Tanto sono nazionalisti, sovranisti e antioccidentali i BRICS, tanto sembra globalista e – diciamolo – woke il G20. Sulla prima pagina del sito ufficiale del vertice campeggiano la lotta alla fame, le riforme per l’inclusione, la democrazia, il cambiamento climatico e altre ancora. Si tratta dei temi contro i quali i BRICS si battono, per la loro origine geografica, ma soprattutto politica.
La domanda è dunque perché tanti Paesi tengono il piede in due staffe, contemporaneamente con l’occidente e contro di esso, desiderosi di essere accanto agli USA nella foto di gruppo e al tempo stesso di scalzarli per sostituirli con Cina, Russia o forse – nei loro sogni più audaci – con sé stessi?
In parte si tratta di status. Da quando è stato creato, il G20 è parso a molti come un G8 globalizzato, aperto a Paesi ed economie che non possono aspirare al G7/G8. Benché informale, privo di una struttura centrale permanente, il G20 è comunque più ristretto dell’ONU (che conta oggi 193 paesi) e poco più grande del suo Consiglio di Sicurezza (i cui cinque membri permanenti sono tutti anche nel G7 e G20). Esso è dunque una vetrina importante, come dimostrano le discussioni su eventuali ulteriori ingressi e la presenza di organizzazioni collettive, che danno comunque una “finestra” anche agli assenti. In parte si tratta della moltiplicazione delle opportunità di incontro informale, fuori dagli schemi consueti, a conferma dell’importanza che le conversazioni lontano dai riflettori offrono ancor oggi. La costruzione di rapporti informali, poi, resta uno strumento importante di politica estera.
La vera domanda è però quale sia oggi il peso effettivo di questi eventi, che si sovrappongono e confondono l’uno con l’altro nei telegiornali e su internet. Per molti, c’è da scommetterci, sarà difficile capire la differenza tra il G7 pugliese e il G20 brasiliano, non solo perché quasi metà del cast è la stessa. In realtà, gran parte del lavoro viene svolto dietro le quinte dai cosiddetti sherpa, i funzionari che portano il grosso del peso della preparazione e possono quindi determinare, almeno in parte, i temi con i quali “riempire” l’agenda. Anche per questo, i vertici finiscono per somigliarsi tutti.
L’azzoppamento degli USA e l’assenza della Russia – Putin sarà forse presente in videoconferenza – rendono facile fare previsioni scettiche. L’unica cosa sicuramente positiva sarà la meteorologia: molto meglio le spiagge di Rio che il freddo calato sull’Europa.
Credito fotografico: G20Brasile2024