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Cronaca, Sanità

La vecchiaia si estende ai medici

08.12.2024

Crisi demografica dell’Italia inarrestabile. Cardiologi, ginecologi, internisti, psichiatri, chirurgi, metà dei medici italiani porta un’età che supera i 55 anni. Il dato sarebbe destinato a peggiorare nei prossimi anni. Ma lo svecchiamento della “gobba pensionistica” inizierà solo dal 2030. Considerazioni.

La crisi demografica italiana non risparmia nemmeno il settore medico: è questo il quadro che già a inizio anno ha restituito l’Istituto nazionale di statistica durante l’audizione in Commissione Cultura al Senato. Secondo i dati, infatti, il nostro Paese ha i medici più anziani d’Europa: nel 2021, il 55,2% dei medici aveva più di 55 anni.

Più nello specifico, tra i medici specialisti – sia nel settore pubblico che privato – la percentuale con professionisti con più di 54 anni superava il 50% tra cardiologi, ginecologi, internisti, psichiatri e chirurgi. Numeri questi, che, se considerati su un periodo decennale (2012-2022), presentano un drammatico invecchiamento, soprattutto nel contesto della medicina d’urgenza, con un incremento dal 26% al 41,8%. Tendenza che, con crescite più contenute, si è confermata anche tra oncologi e geriatri. Ed è uno scenario che, almeno nei prossimi anni, sembra destinato a peggiorare: proprio per far fronte alla carenza di personale, il Governo con un emendamento Decreto Milleproroghe del 2023 ha approvato una misura che consente ai medici del SSN di rimanere in servizio fino a 72 anni contro i 70 previsti. «L’età media elevata dei clinici italiani rappresenta un elemento di criticità del sistema sanitario in quanto emerge con forza proprio in una fase in cui la classe medica deve fronteggiare una crescente domanda di assistenza dovuta al progressivo invecchiamento della popolazione» sottolinea Lorenzo Palleschi, Presidente di SIGOT Nazionale.

Una situazione, questa, frutto di un’errata programmazione dei governi che, per esempio, tra 2010 e 2020 hanno ridotto drasticamente le risorse per la sanità, creando di conseguenza un cosiddetto “imbuto formativo”, con fondi destinati a borse di studio per le specializzazioni insufficienti a coprire la domanda. Nel periodo post-pandemico, invece, l’effetto opposto, con i laureati in medicina che sono cresciuti meno velocemente rispetto al numero di borse di studio disponibili. «La cessazione di attività di molti medici per raggiunti limiti di età pone l’urgenza di un ricambio generazionale. Oggi ci troviamo in quella che si definisce la “gobba pensionistica” e solo nel 2030 si tornerà ai livelli del 2020, con tendenza alla diminuzione negli anni successivi» conclude Palleschi.
Per ovviare al problema, il Governo ha di recente dato il via libera al ddl delega sul numero aperto a Medicina, che prevede un semestre-filtro al posto del classico test d’ingresso. Obiettivo, aumentare di 4-5mila unità i posti ogni anno per svecchiare progressivamente l’attuale classe medica. Dunque, tempo al tempo.

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