20.12.2024
Scatole di biscotti leggere, porzioni di gelato ridotte, detersivi che spariscono presto. Il misterioso fenomeno delle confezioni sempre più leggere ha finalmente una risposta. La geniale trovata dei formati per svincolarsi dall’aumento dei prezzi è l’ultimo traguardo del marketing illegale. Leggi e precauzioni.
I pacchi di biscotti sembrano sempre più vuoti? I gelati confezionati paiono sempre più piccoli? Il detersivo finisce prima, come le vaschette di affettato e i barattoli di marmellata? Non è solo un’impressione, ma è colpa della shrinkflation, ossia della riduzione della grammatura a fronte di un prezzo che resta invariato. Una pratica ormai utilizzata da tempo, ma che nel periodo di Natale è diventata ancora più evidente.
Il termine inglese shrinkflation deriva dalla crasi del verbo to shrink, ridurre, e inflation, inflazione, ossia l’aumento dei prezzi. Quindi appunto la riduzione della quantità, ma non del costo, che potremmo tradurre con sgrammatura. Spesso le confezioni restano identiche per dimensioni e aspetto e anche se, come da disposizione di legge, il peso della nuova confezione viene sempre indicato correttamente, il consumatore rischia di essere tratto in inganno. In più la riduzione della quantità avviene per gradi, in modo da essere poco percettibile nel breve periodo ma significativa a lungo raggio.
Un esempio perfetto del fenomeno lo offrono i nuovi formati di dolci che sono apparsi sugli scaffali dei supermercati nel periodo precedente alle feste di Natale. È balzata all’occhio l’invasione dei mini-panettoni e pandori, con confezioni in genere dal peso compreso tra gli 80 e i 100 grammi. Una monoporzione costa in media tra 1,80 e 2,5 euro: sembra una cifra tutto sommato piccola, ma in proporzione il prezzo al chilo finisce per superare anche quello dei prodotti artigianali. Un consumatore distratto, preso dagli acquisti, magari non ci fa caso ma una volta arrivato alla cassa il portafoglio ne risente.
Quella della shrinkflation non è una pratica illegale, ma molte persone la percepiscono comunque come una scorrettezza. Il tema è stato affrontato da molte associazioni di consumatori e anche alcune catene di supermercati hanno iniziato a combatterlo. Una di queste è Carrefour, che ha deciso di non distribuire prodotti a marchio Pepsi proprio a causa dell’eccessiva sgrammatura. L’iniziativa ha avuto successo, visto che il colosso americano ha annunciato il ripristino delle vecchie confezioni senza aumento del prezzo finale.
In Italia la questione è stata affrontata dal ddl Concorrenza, recentemente approvato alla Camera dei Deputati, che contiene una misura contro la shrinkflation. Si pensa di istituire l’obbligo per i produttori di apporre un’etichetta specifica sulle confezioni ridotte: un bollino che dovrà essere applicato nel campo principale della scatola, così da essere ben visibile, e che riporti con precisione la variazione di quantità. Tuttavia, non sarà necessario specificare di quanto sarà l’aumento del prezzo al chilo. La dicitura dovrà restare sulle confezioni per sei mesi a partire dall’immissione della nuova confezione.
Nell’attesa che la legge diventi operativa, ossia il 1° aprile qualora passasse anche in Senato, come difendersi dalla shrinkflation? È buona norma valutare sempre il formato del prodotto e controllare il prezzo al chilo o al litro, in modo da capire esattamente quanto spenderemo in proporzione alla quantità di prodotto che mettiamo nel carrello. Questo soprattutto in presenza di confezioni speciali o multipack, che a volte possono confondere ancora di più.