5 Febbraio 2025
Milano, 6°

Perché Apple accetta di pagare 95 mln di dollari per risolvere l’accusa di violazione della privacy messa in atto dall’assistente virtuale più famosa al mondo a danno degli utenti? Contraddizione profonda rispetto all’immagine costruita nel tempo dal grande sostenitore della Privacy Tim Cook: “un diritto umano fondamentale”. Il Focus.

Quante volte abbiamo sentito parlare di Apple come la numero uno delle Big Tech per la protezione della privacy? Proprio per questo ha destato scalpore il fatto che, recentemente, l’azienda ha accettato di pagare 95 milioni di dollari per risolvere una causa legale, che la accusa di aver utilizzato il suo assistente virtuale Siri per registrare conversazioni private senza il consenso degli utenti. Una contraddizione profonda rispetto all’immagine che la Mela ha costruito nel tempo, visto che Tim Cook, il CEO dell’azienda, ha più volte ribadito che la privacy è “un diritto umano fondamentale”. Purtroppo, le accuse contenute nella causa legale dipingono un quadro molto diverso.

Sia chiaro: nel procedimento che la vede opposta alle associazioni consumatori Usa, Apple si è dichiarata sempre estranea a qualsiasi illecito. Però – secondo i documenti presentati in tribunale – avrebbe invece agito in maniera sotterranea per catturare i dati degli utenti: attivando in modo subdolo Siri su iPhone e altri dispositivi avrebbe infatti registrato conversazioni anche quando questi non avevano pronunciato le parole chiave “Ehi, Siri”. Alcune di queste registrazioni sarebbero poi state condivise con inserzionisti, presumibilmente per orientare le offerte pubblicitarie in base agli interessi degli utenti. La causa risale a cinque anni fa e l’accordo da 95 milioni di dollari è una cifra irrisoria rispetto ai 705 miliardi di dollari di profitti accumulati da Apple dal 2014.

Come dare una multa da 1000 euro al proprietario di una Ferrari beccato a 200 all’ora in autostrada. Tuttavia, il risarcimento rappresenta una sconfitta simbolica per l’azienda, che mina la fiducia costruita con anni di marketing basato sull’etica e la protezione dei dati. Anche per gli utenti coinvolti nell’accordo si tratta solo di aver avuto soddisfazione: potranno ricevere un risarcimento fino a 20 dollari per dispositivo dotato di Siri (e non più di 5 a persona), ma solo una piccola percentuale degli aventi diritto si prevede che presenterà domanda. Il problema, soprattutto per Apple, è un altro: se una compagnia di questo calibro viene coinvolta in accuse così gravi, è possibile che le dichiarazioni pubbliche di intenti delle aziende tech potrebbero non essere sempre allineate alle pratiche reali. Cook e soci, per dire, si sono sempre vantati di non monetizzare i dati personali e di garantire agli utenti un controllo completo sulle informazioni condivise. Ma questa vicenda mostra un lato diverso della medaglia.

L’udienza finale per l’approvazione dell’accordo è prevista per il 14 febbraio 2025 presso un tribunale federale di Oakland, in California. Nel frattempo, resta da vedere come Apple gestirà il contraccolpo mediatico e le possibili ripercussioni sulla sua reputazione, perché pagare per non avere problemi può essere a volte peggio che ammettere un errore. Anche perché poi resta una domanda, a cui Apple forse (e purtroppo) ha già risposto: è davvero possibile conciliare il profitto con la protezione autentica della privacy?

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