13.02.2025
Da granaio d’Italia a oasi della siccità. È il destino del Tavoliere delle Puglie secondo l’analisi dell’Osservatorio Anbi sulle risorse idriche che mette in evidenza il collegamento tra questa trasformazione epocale e il global warming. E a niente stanno valendo finora singoli episodi di piogge abbondanti come quelle di questi giorni.
Gli auspici che potessero rivitalizzare i corpi idrici superficiali e ricaricassero le falde in questo inizio 2025, dopo le restrizioni patite dalle campagne foggiane nella seconda metà dell’anno scorso a causa dello svuotamento dei bacini, sono stati finora disattesi. Le precipitazioni (inferiori ai 60 millimetri) hanno appena scalfito l’enorme disavanzo idrico, accumulato dopo un’annata tra le più secche mai registrate. La crisi idrica attanaglia la Puglia in forma acuta da più di un anno.
Mentre le regioni confinanti (Basilicata, Campania e Molise) sembra stiano uscendo faticosamente dalla crisi, grazie ad un inverno generoso di pioggia e neve, la pianura foggiana pare destinata ad essere arsa anche nei mesi a venire, con i monti Dauni che creano un “muro climatico” con i territori vicini. I numeri sono impietosi anche se confrontati con il resto della Puglia: nel barese, le piogge da inizio 2025 sono state, rispetto alla Capitanata, mediamente superiori del 190% e persino il Salento, in crisi idrica lo scorso anno, ha finora beneficiato di oltre il doppio della pioggia rispetto al Nord della regione.
“È un esempio evidente della necessità di collegare idraulicamente i territori, superando anche ataviche contrapposizioni localistiche, perché la gestione dell’acqua non può fermarsi ai confini amministrativi”, chiosa Francesco Vincenzi, presidente dell’Associazione nazionale dei consorzi di gestione e tutela del Territorio e delle acque irrigue (Anbi).
Impietosi i numeri: considerando l’incremento d’acqua registrato in questa settimana di pioggia, i bacini foggiani raggiungono meno del 20% dei volumi autorizzati. Molto preoccupante anche il confronto con la risorsa idrica disponibile un anno fa, quando comunque non fu sufficiente a dissetare le campagne nell’estate più calda di sempre. Allora gli invasi della Capitanata trattenevano 156,3 milioni di metri cubi d’acqua, cioè il 146% in più rispetto ad oggi.
Una situazione che questa parte della Puglia condivide anche con altre aree italiane, dove si registrano situazioni di sofferenza. Nella Sardegna Occidentale gli invasi raccolgono circa la metà della capacità, scendendo addirittura al 10% di riempimento nei bacini dell’Alto Cixerri o al 31% nel Basso Sulcis.
Quasi 6 milioni di metri cubi d’acqua sono invece affluiti in 6 giorni negli invasi della Basilicata, portando la disponibilità complessiva a un livello ancora inferiore all’anno scorso, ma in costante aumento da 2 mesi.
Anche per la Sicilia i 68 milioni di metri cubi d’acqua, trattenuti a gennaio dalle dighe, potrebbero essere considerati un ottimo risultato ed una buona premessa per l’uscita dalla crisi idrica. Anche se permangono grandi problemi infrastrutturali: dall’obsolescenza delle reti alla scarsa manutenzione. Attualmente le riserve idriche stoccate ammontano a circa il 38% del volume totale di riempimento autorizzato, ma quelle realmente utilizzabili sono meno, circa 140 milioni di metri cubi.
Allarme Ue
Scarsità d’acqua e siccità sono riconosciute dall’Ue come un “problema serio” in Italia: colpiscono da qualche anno “in modo significativo, la produzione agricola, la navigazione interna, l’approvvigionamento idrico pubblico e la produzione di energia (termica e idroelettrica)”. È quanto è emerso da una relazione sullo stato delle acque dell’Ue pubblicata la scorsa settimana dalla Commissione europea per evidenziare sfide e criticità nei 27 Stati membri: saranno affrontate nella Strategia Ue per la resilienza idrica attesa nel secondo trimestre dell’anno.
“L’impatto della siccità è destinato ad aumentare nei prossimi anni, poiché gli effetti del cambiamento climatico si faranno sentire sempre di più”, si legge nel report dedicato all’Italia. Al nostro Paese si raccomanda di aumentare la resilienza ai cambiamenti climatici, anche considerando sistematicamente soluzioni basate sulla natura per aumentare le riserve idriche.
La scarsità d’acqua non è però ricondotta solo agli effetti dei cambiamenti climatici in aumento ma anche ad altre azioni dell’uomo: secondo i numeri del rapporto, circa il 77% dei corpi idrici sotterranei soffre di scarsità d’acqua a causa delle “pressioni di estrazione” da parte di acquedotti pubblici, industria, agricoltura, allevamenti ittici, energia idroelettrica e acque di raffreddamento.