22 Febbraio 2025
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Società, Sostenibilità

La battaglia degli stili di vita

Foto di bruce mars su Unsplash

Era il 1992. A Rio de Janeiro stavano arrivando più di 100 capi di Stato e di governo per prendere parte all’Earth Summit, il momento decisivo della svolta ecologica per la difesa del clima. In quell’occasione, il presidente americano George Bush senior, scendendo dall’aereo che lo aveva portato in Brasile, lasciò sul taccuino dei cronisti una frase indelebile: “Lo stile di vita americano non è negoziabile”. Tradotto: combustibili fossili e deforestazione non si toccano.

Trentatré anni dopo lo scenario si ripete in veste surreale. In fondo, il vecchio Bush era un saggio se confrontiamo le sue scelte con quelle del figlio che nel 2003 invase l’Iraq come aveva fatto il padre 12 anni prima (ogni famiglia ha le sue abitudini), ma non ebbe il buon senso di ritirarsi un attimo prima di far crollare l’equilibrio del Medio Oriente lasciando campo libero all’Isis. Oggi tocca al presidente attuale.

Trump traduce con Drill, baby, drill, lo stile di vita non negoziabile necessario a mantenere abitudini singolari (vecchie e nuove). Come usare gli impianti di condizionamento dell’aria per sudare in casa d’inverno e portare un maglione d’estate. Rimpinzarsi di carne trattata agli ormoni o estratta da animali che pascolavano sulle ceneri della foresta amazzonica. Mandare la scienza in soffitta e mettere l’ambientalismo all’indice.

In una fase in cui della battaglia ideologica rimane poco o nulla, è sugli stili di vita – e sui messaggi che lanciano a vari livelli – che si gioca buona parte della partita politica. L’internazionale negazionista – il cartello di forze che rifiuta la scienza climatica e dubita di Darwin – vuole imporre uno stile di vita che è un pericoloso mix di elementi che hanno segnato l’inizio del secolo scorso e che stanno segnando l’inizio di questo secolo.

C’è l’espansione muscolare dello spazio degli Stati, che va conquistato perché qualcuno ce l’ha rubato. C’è l’odio per i “diversi” usato come antidoto alla paura. C’è il disprezzo delle leggi perché l’io viene prima del noi. C’è l’uso sapiente (anche Joseph Goebbels, ministro della Propaganda del Terzo Reich, non era un improvvisato) della macchina della comunicazione potenziata dall’intelligenza artificiale.

È una situazione inedita – perché inedita è l’alleanza tra lo Stato a lungo immaginato come campione della democrazia e le autocrazie – e in questo momento ci sembra di non avere ricette per affrontarla perché ci sentiamo schiacciati dal peso di una partita globale. Ma visto che questa sfida politica passa attraverso messaggi che riguardano la vita quotidiana, forse anche le nostre singole scelte pesano più di quanto immaginiamo.

E allora, la battaglia si può giocare anche a tavola perché quello che fa male al nostro corpo (un eccesso di carne, l’overdose di grassi, cibi ultra conservati) fa male al pianeta. In questi giorni il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici ha calcolato l’impatto sulla foresta amazzonica di una dieta squilibrata proponendo la “dieta planetaria” mirata a ridurre il consumo di alimenti ad alta intensità di risorse, come la carne. Ma in realtà una dieta equilibrata è già nella nostra memoria collettiva: è la dieta mediterranea che esalta i sapori, limita i consumi di proteine animali, utilizza prodotti locali difendendo il lavoro locale. Mettere a tavola alimenti che fanno bene al nostro corpo e non danneggiano il pianeta è un piccolo atto di resistenza.

Così come è un piccolo atto di resistenza difendere il diritto di respirare aria pulita, riducendo i gas di scarico delle auto fossili che danno un contributo importante alla morte delle 50 mila persone stroncate ogni anno in Italia dall’inquinamento atmosferico. Ieri Trump, raffigurato con una corona da re, ha annunciato la fine del pedaggio per entrare a Manhattan deciso dalla governatrice democratica dello Stato all’inizio di gennaio per finanziare il rilancio del trasporto pubblico necessario a decongestionare il traffico nell’area centrale di Manhattan.

Così il drill invocato dal presidente americano rischia di trapanare i polmoni dei suoi connazionali. E dunque la richiesta di una rete di trasporto pubblico efficiente e decorosa, della possibilità di muoversi a piedi e in bicicletta, di una mobilità a basso impatto sanitario e ambientale, è un altro piccolo atto di autodifesa.

Chissà. La somma di milioni di atti che mettono in discussone lo stile di vita “non negoziabile” dell’America muscolare potrebbe anche diventare un segnale letto dai mercati che pesano sulla geopolitica. In ogni caso ci aiuta a vivere meglio. È già qualcosa.

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