7 Aprile 2025
/ 7.04.2025

​Pianeta Acqua, la ricetta di Rifkin per fare pace con la natura

Nel suo ultimo libro Rifkin propone di assecondare il processo di rinaturalizzazione della sfera idrica innescato dalla crisi climatica. E indica come un modello da seguire i Paesi che hanno riconosciuto ai fiumi una personalità giuridica

Nel suo ultimo libro, Pianeta Acqua, Jeremy Rifkin propone un punto di vista radicalmente innovativo nel modo in cui percepiamo il nostro pianeta.  Lo chiamiamo Terra ma la sua superficie è coperta per il 71% dalle acque. Dunque – sostiene Rifkin – questa denominazione è fuorviante, figlia di un tentativo di imbrigliare il mondo idrico che è cominciato 6 mila anni fa. Un tentativo collegato alla cultura dell’accumulo di ricchezza agricola che in quell’epoca, sulle rive del Tigri e dell’Eufrate, permise la nascita delle prime città e il passaggio della cultura matrilineare a quella patriarcale. Quella ricchezza, ricavata da un capillare sistema di irrigazione, si rivelò fragile perché ne derivò una salinizzazione dei terreni che penalizzò il sistema agricolo. Oggi rischiamo di replicare il problema su scala mondiale?

Per il teorico della Terza rivoluzione industriale il rischio di pagare un prezzo pesante al cattivo uso dell’acqua c’è, ma può essere fronteggiato: bisogna assecondare la rinaturalizzazione della sfera liquida che la crisi climatica sta provocando facendo saltare la struttura che ingabbia l’acqua. La “domesticazione dell’idrosfera” attraverso dighe, acquedotti e sistemi di irrigazione è arrivata ormai vicina al punto di rottura perché ha portato a una compressione della natura di cui stiamo già vedendo gli effetti. Inondazioni, siccità e uragani più intensi stanno mettendo fuori uso una parte crescente del sistema costruito per ingabbiare l’acqua.

Bastano pochi dati per misurare la portata del rischio. Diciannove Paesi rischiano molto per l’innalzamento del livello del mare determinato dal riscaldamento globale: in ognuno di questi Paesi il 10% della popolazione è potenzialmente esposto al pericolo di inondazione. Entro il 2050, il 61% di tutti gli sbarramenti idroelettrici del pianeta sarà in bacini fluviali a rischio molto elevato o estremo di siccità, di inondazioni o di entrambe le cose. La Banca Mondiale riferisce che negli ultimi 50 anni l’acqua dolce pro capite si è dimezzata. Negli ultimi dieci anni i conflitti legati all’acqua sono quasi triplicati.

Il libro comunque non si limita alle critiche ma dà spazio a un’ampia parte propositiva. L’autore pronome un Blue Deal, da affiancare al Green Deal, basato sulla rigenerazione delle risorse idriche. È un robusto pacchetto di misure: ridare spazio ai fiumi per ridurre il rischio alluvioni esasperato dalle piogge che sono sempre più intense a causa della crisi climatica; creare città spugna per assorbire le bombe d’acqua ormai periodiche; realizzare sistemi raffinati di recupero delle acque utilizzate negli edifici attraverso il riciclo sistematico degli scarichi di lavandini, docce, toilette; puntare su un’agricoltura a basso impatto ambientale e con una migliore efficienza idrica.

Infine Rifkin ricorda i passi avanti compiuti da molti Paesi nel riconoscimento dei diritti della natura che vengono personalizzati attribuendo diritti legali a fiumi, laghi, mari per garantire la loro tutela. Paesi come Ecuador, Colombia e Nuova Zelanda hanno già iniziato a riconoscere ai fiumi e agli ecosistemi acquatici una personalità giuridica, garantendone la tutela legale.

Si tratta di ​un passaggio culturale fondamentale: smettere di considerare l’acqua come una semplice risorsa commerciale e riconoscerla come fonte di vita, con un valore intrinseco e diritti propri. 

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