19 Aprile 2025
/ 17.04.2025

La bolletta elettrica è da paura? Ci sono tre modi per abbassarla

Basterebbe una riforma coraggiosa del sistema di formazione del prezzo della bolletta elettrica. La Spagna e il Portogallo già lo fanno perché in Italia no? Le rinnovabili costano meno ma i vantaggi non arrivano in bolletta

Prezzi dell’elettricità all’ingrosso? Vedi alla voce prezzo marginale. E le bollette, visti i prezzi del gas causati dall’invasione russa dell’Ucraina di 3 anni fa, si impennano. Ma andiamo con ordine. In Italia abbiamo la bolletta elettrica più cara d’Europa. Questo dipende dal fatto che i costi finali dell’elettricità dipendono dal cosiddetto “prezzo marginale” ovvero il “prezzo dell’ultima unità di energia necessaria per soddisfare la domanda in un dato momento”.  Il problema è che in Italia l’ultima unità di energia è di solito il gas, che nel 2024 è stata la fonte che faceva il “prezzo marginale” per il 63% del tempo, con un prezzo medio di 110 euro al MWh, mentre eolico e fotovoltaico “fanno il prezzo” solo nel 2% del tempo, con prezzi tra i 25 e gli 85 euro a MWh. 

PUN, che batosta

In Italia, per determinare il PUN, il prezzo dell’energia all’ingrosso nella borsa elettrica italiana, si è utilizzato per vent’anni il sistema del prezzo marginale, nato per favorire le rinnovabili quando erano la fonte più cara. Il mondo è cambiato, le rinnovabili ora sono le più competitive, ma il sistema usa la stessa logica. Funzionava così: i produttori di energia presentavano le loro offerte, indicando quantità e prezzo. Le offerte più basse venivano accettate per prime, poi il sistema abbinava l’offerta con la domanda fino a soddisfare la richiesta totale. Il prezzo dell’ultima offerta accettata per far fronte alla domanda diventava il prezzo di riferimento per tutte le transazioni. E così a pagare un prezzo più alto erano (e sono) consumatori e imprese. 

Il nuovo meccanismo

Dal primo gennaio 2025 il PUN è stato sostituito dal PUN Index GME, un sistema di prezzi zonali che riflette le condizioni locali di domanda e offerta nel Paese. Mentre il PUN era un prezzo unico per l’intero territorio nazionale, il PUN Index GME introduce prezzi differenziati per area geografica, riflettendo le condizioni locali dei costi di produzione, trasporto e domanda energetica. Ci sono sette zone energetica. La prima riguarda l’intero Nord, la seconda Toscana, Marche e Umbria, la terza Lazio, Abruzzo, Molise e Campania, la quarta Puglia e Basilicata, le ultime tre, rispettivamente, Calabria, Sicilia e Sardegna. 

Secondo i suoi promotori questo meccanismo incentiva la trasparenza e gli investimenti in fonti rinnovabili, è più aderente ai costi reali locali, aumenta la concorrenza tra fornitori. Di contro aumenta la volatilità dei prezzi, con le regioni meno efficienti che saranno svantaggiate, e soprattutto non ridurrà l’influenza dei combustibili fossili e in particolare, in Italia, del gas, perché il prezzo marginale è sempre influenzato dai costi dei combustibili fossili. Del gas. E siamo daccapo. Non a caso, grazie a un meccanismo di compensazione stabilito dall’Arera, le differenze di costi tra zone saranno limitate per tutto il 2025. L’impressione è che la montagna abbia prodotto un topolino. 

La riforma europea

Lo stesso si può dire per la riforma del mercato elettrico europeo, decisa dal Consiglio Europeo su proposta della Commissione, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale Ue il 26 giugno dello scorso anno. Ma è stata tutt’altro che una rivoluzione perché si è deciso di non modificare il processo di determinazione dei prezzi dell’elettricità, mantenendo il meccanismo del “prezzo marginale”. Si punta piuttosto, per proteggere i consumatori,  sui contratti a lungo termine come i Power Purchase Agreements (PPAs) , accordi di compravendita di energia elettrica che riducono l’incertezza legata alle oscillazioni del mercato, sui contratti a termine, sui Contratti per differenza (CfDs) che stabilizzano i ricavi per produttori di energia rinnovabile incentivando gli investimenti in nuova capacità rinnovabile, sulla possibilità della duplice contrattazione, sull’implementazione di misure per favorire l’autoconsumo e le comunità energetiche. Si poteva osare di più. 

Le riforme possibili

Le proposte che erano e sono ipotizzabili sono tre. La prima è l’imposizione di un tetto ai ricavi delle tecnologie di generazione elettrica cosiddette infra-marginali: rinnovabili e nucleare. La misura prevede di fissare un tetto – un cap – .al prezzo che gli impianti di generazione elettrica infra-marginali possono conseguire per ogni MWh venduto. se i prezzi di mercato sono superiori al cap, i produttori infra-marginali dovranno accontentarsi del cap e restituire la differenza al sistema, che la utilizzerà per abbassare il costo delle bollette per famiglie e imprese. 

Il secondo prevede la creazione di due borse elettriche separate, una per le tecnologie di generazione elettrica infra-marginali e una per gli altri. Una prima borsa sarebbe dedicata agli impianti di produzione con elevati costi fissi e bassi costi variabili, cioè le tecnologie infra-marginali, come rinnovabili e nucleare. Una seconda borsa sarebbe invece dedicata alle tecnologie caratterizzate da costi marginali alti, come gli impianti a carbone e a gas. In questa seconda borsa, gli operatori offrirebbero l’energia elettrica necessaria a soddisfare la domanda residuale, ossia la quota di consumi non coperta dalla produzione degli impianti infra-marginali. E il prezzo per il consumatore sarebbe mediato: tanto più alta è nella “torta” la fetta di rinnovabili, tanto minore il prezzo.

La terza ipotesi, adottata in Spagna e Portogallo, prevede invece un tetto al prezzo del gas, e la corresponsione di un sussidio alle centrali a gas per l’acquisto del combustibile necessario alla generazione elettrica. Il sistema del rezzo marginale rimane, ma i consumatori risparmiano, rispetto alla situazione senza tetto, grazie all’abbassamento dei prezzi di vendita delle centrali a gas per effetto dei minori costi di acquisto del combustibile. Ogni sistema ha i sui pro e i suoi contro e nessuno è senza costi. Ma tutti e tre i sistemi avrebbero un effetto sui prezzi finali, abbassandoli. Ma evidentemente nessuno pensava ai consumatori come fulcro della riforma del sistema. E così, almeno fino a che le rinnovabili non taglieranno il gas dalla torta elettrica – e ci vorranno anni – saranno loro a pagare il conto. 

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