12 Maggio 2025
/ 28.04.2025

C’è chi pensa che a morire di clima saranno altri. Sentite cosa dice Pasini (Cnr)

Intervista ad Antonello Pasini sul suo nuovo libro, “La sfida climatica. Dalla scienza alla politica: ragioni per il cambiamento”

“La gente non deve sentirsi impotente e pensare che non si può fare nulla. E’ vero il contrario, dipende anche da noi. Ricordiamoci che avere scoperto che il cambiamento climatico è di origine umana non è una sciagura ma una buona notizia, perché se fosse stato naturale non avremmo potuto fare altro che adattarci. E invece così sappiamo quali sono le cause e possiamo agire per rimuoverle. Possiamo fare mitigazione. Possiamo essere protagonisti della nostra storia”. Parla alla coscienza di ciascuno di noi il fisico Antonello Pasini, primo ricercatore del CNR, da sempre in prima linea anche nella divulgazione. Il 24 aprile è uscito con Codice Edizioni il suo nuovo libro “La sfida climatica. Dalla scienza alla politica: ragioni per il cambiamento”. 

Antonello Pasini, possiamo dare per scontato che ormai è comune sentire la presenza di una emergenza climatica, oppure, anche alla luce degli ultimi sviluppi politici in America e non solo in America, c’è un passo indietro e ci sono forze che stanno rimettendo in discussione le basi?

“I negazionisti hanno sempre remato contro, la loro è una battaglia di retroguardia, in costante arretramento. Inizialmente dicevano non esiste il cambiamento climatico, e ora non possono più dirlo. Allora sono passati a sostenere che la responsabilità del riscaldamento climatico non è dell’uomo, e anche lì questo non si può più dire viste le evidenze emerse negli ultimi anni. E così hanno cominciato a sostenere che si, il riscaldamento esiste, è dovuto all’uomo ma di cosa ci preoccupiamo? Il cambiamento climatico fa bene, e comunque ormai cosa ci possiamo fare, mica possiamo sacrificare lo sviluppo e i posti di lavoro. E’ un costante arretramento davanti all’evidenza dei fatti. La loro è una battaglia di retroguardia, il loro fronte arretra, ma non molla. Oggi il negazionismo è diventato dilazionismo. Serve a guadagnare anni, possibilmente decenni. E c’è pure qualcuno come Trump, negazionista puro, che dà loro una mano a togliere le fondamente alla scienza, tagliando i finanziamenti alla ricerca climatica, per silenziarla. C’è chi vuole imporre una narrazione secondo la sua visione del mondo, che è l’opposto di un approccio scientifico. Il tentativo è in atto e sì, sono molto preoccupato. Ma la verità verrà fuori comunque, perché tacere non cancellerà il cambiamento climatico, che in assenza di azioni si mostrerà in tutta la sua gravità”. 

L’attacco alla scienza in corso in America, potrebbe accadere anche in Italia e in Europa?

“Con l’intensità che vediamo francamente non credo. Ci sono delle leggi che tutelano la nostra libertà di ricerca, l’opinione pubblica è diversa. Ma magari mettere più soldi su altri capitoli di bilancio che non sulla ricerca e in particolare sulla ricerca climatica, quello è possibile che accada”. 

Preoccupato delle politiche di Trump?

“Molto, e preoccupato anche di quello che potrà fare il resto del mondo in relazione alle sue politiche. E non mi riferisco solo a Paesi come l’Argentina che potrebbero seguire Trump nell’uscita dall’accordo di Parigi. Temo ad esempio gli effetti della decisione di Trump di alzare i dazi che potrebbe indurre alcuni Paesi a ridurre l’impegno climatico. Un esempio? In Europa sentiamo dire: “Compriamo più gas e petrolio dall’America e in cambio Washington ridurrà i dazi sulle auto e sull’agroalimentare”. Ma più gas e più petrolio significa più emissioni. Rischiamo di perdere tempo prezioso investendo nelle vecchie fonti fossili invece di andare con determinazione verso le rinnovabili e le emissioni nette zero”. 

Paradossalmente potrebbe salvarci la Cina, primo emettitore mondiale ma anche campione delle rinnovabili nelle quali ha visto un enorme business?

“La Cina è un regime non democratico, però sta facendo più di qualsiasi altro. E, come ho scritto anche nel libro, la svolta verde della Cina è nata anche da una domanda dal basso, dei suoi cittadini che erano stufi di morire di inquinamento. Questo si è unito alla grande crescita della loro industria green e ha determinato una volontà politica di attuare la transizione energetica in un Paese chiave creando un fattore importante di promozione e implementazione delle politiche climatiche mondiali. Ma da questo traiamo anche una lezione che ci interessa da vicino. Se una spinta dal basso ha funzionato in Cina, immaginiamo come potrebbe funzionare in un Paese democratico”.

Molti pensano che abbiamo ancora tempo, anni, per fare le scelte più impegnative e decenni per attuarle. Come considera invece la possibilità che il superamento di uno dei tipping point, i punti di svolta che possono determinare cambiamenti rapidi del sistema climatico, possa avere un effetto a cascata e innescare il superamento di altri? Che, in altre parole, potremmo non avere tutto il tempo che vorremmo?

“Nel libro parlo anche di questo. Il sistema climatico non è lineare. Per questo dobbiamo essere cauti ed esercitare il principio di precauzione. Io credo che il grado e mezzo ormai ce lo scordiamo ma possiamo lavorare per non superare i due gradi di riscaldamento in modo da evitare proprio di andare a innescare effetti di feedback tali che ci portino verso un equilibrio climatico diverso. Del resto i sistemi complessi funzionano così. A volte quando passi delle soglie ci sono delle biforcazioni, i tipping point, superati i quali il sistema punta ad un equilibrio diverso: a quel punto, qualsiasi cosa noi facciamo sarà inadeguata e non potremo tornare indietro ad un clima più accettabile se non in tempi lunghissimi. Questo è quello che non si comprende”.

Colpa anche vostra che non siete stati capaci di spiegare ai cittadini e alla politica la gravità della situazione?

 “Forse parzialmente sì, del resto noi non siamo dei comunicatori. Ci abbiamo provato. Gli occhiali della scienza ti fanno percepire la realtà per quella che è, contrariamente agli occhiali dell’ideologia che te la distorcono e non ti fanno vedere le cose come stanno. Gli scienziati fanno la loro parte, ma se la società si volta dall’altra parte, sono impotenti. La vera tara è che c’è stata una comunicazione a una via, da noi verso la politica, che ha ascoltato poco perché ha altre priorità, come quella della rielezione nella prossima legislatura, del mantenimento del consenso. Ciò che serve è una comunicazione bidirezionale. Per questo in Italia, assieme ad altri scienziati, abbiamo proposto di creare un vero e proprio dialogo tra la scienza del clima e la politica, un dialogo che dovrebbe essere istituzionalizzato con la creazione di un consiglio scientifico ad hoc, che potrebbe fornire loro un ventaglio di strumenti da usare nella lotta al cambiamento climatico”.

In ultima analisi lei vede ancora spazi di ottimismo?

“Ci sono ancora spazi di speranza. Come dicevo, dipende anche da noi. La sfida si può vincere se ci metteremo d’accordo per fare le azioni che servono e che possiamo fare, a tecnologia attuale. Siamo in un pianeta finito e siamo tutti sulla stessa barca, quello che mi preoccupa sono gli egoismi, i sovranismi, la presunzione di chi pensa: a morire saranno i poveracci del Terzo Mondo. No, i danni sono e ancor più saranno ovunque. E ci si salva solo se operiamo tutti assieme, con il multilateralismo”.

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