Mentre in tanti cercano di ridurre i consumi, riciclare e passare a modelli a basso impatto ambientale, c’è un dato che pesa come una zavorra nel bilancio climatico globale: il 10% più ricco dell’umanità è responsabile di ben due terzi del riscaldamento del pianeta dagli anni ’90 a oggi.
A dirlo non è uno slogan ambientalista, ma un nuovo studio pubblicato sulla rivista Nature Climate Change, che ha calcolato l’impatto reale delle disuguaglianze economiche sulle emissioni globali. I ricercatori hanno messo insieme i dati sulla ricchezza e sui consumi, e li hanno integrati con modelli climatici. Il risultato? Più soldi, più emissioni. E non di poco: chi guadagna oltre 42.000 euro l’anno – cioè il 10% più ricco – contribuisce 6,5 volte più della media all’aumento delle temperature globali.
Quando il conto lo paga il clima
Non si parla solo di voli in jet privato o Suv a benzina: il peso climatico dei più abbienti si vede nei consumi energetici, nelle scelte di investimento, nel possesso di immobili, auto e beni di lusso. Lo 0,1% più ricco della popolazione, ad esempio, ha causato un riscaldamento climatico 76 volte maggiore rispetto alla media mondiale.
E se tutti avessero inquinato come l’1% più ricco? Il pianeta avrebbe già accumulato un riscaldamento medio di 6,7 gradi. Un’ipotesi da incubo, che renderebbe invivibili intere aree del mondo. Fortunatamente, il 50% più povero della popolazione ha avuto un impatto minimo sul clima. E se tutti avessero emesso come loro, l’aumento di temperatura sarebbe stato contenuto.
Tasse climatiche e responsabilità globali
Gli autori dello studio propongono un cambiamento di rotta nelle politiche ambientali: non basta agire sulle emissioni in generale, serve intervenire dove l’impatto è maggiore. Serve, in altre parole, far pagare di più chi inquina di più. Tra le soluzioni avanzate una maggiore tassazione delle imprese e delle élite finanziarie, i cui investimenti alimentano spesso attività ad alta intensità di CO₂.
L’economista premio Nobel Esther Duflo ha recentemente proposto una tassa globale sugli ultra-ricchi e le multinazionali che potrebbe generare 500 miliardi di dollari l’anno. Queste risorse verrebbero usate per aiutare i Paesi più colpiti dagli eventi estremi, costruire infrastrutture resilienti e finanziare la transizione energetica nei luoghi dove è più difficile realizzarla.
Una questione di giustizia climatica
Il dibattito si sposta così dalla tecnologia alla giustizia climatica. Non è più solo una questione di pannelli solari e auto elettriche, ma di redistribuzione delle responsabilità. Perché se il cambiamento climatico è un problema collettivo, non tutti ne sono causa allo stesso modo, né tutti ne subiscono le conseguenze in egual misura.
L’Agenzia Internazionale dell’Energia, nel suo ultimo report, sottolinea che i Paesi più poveri – responsabili di meno del 10% delle emissioni storiche – saranno quelli che pagheranno il prezzo più alto: siccità, innalzamento dei mari, crollo della produzione agricola. E tutto questo mentre il benessere continua ad alimentare un modello insostenibile.