Non è la prima volta che il glifosato finisce sul banco degli imputati, ma questa potrebbe essere la volta decisiva. Una nuova, imponente ricerca dell’Istituto Ramazzini di Bologna ha aggiunto un tassello fondamentale alla lunga e controversa storia dell’erbicida più usato al mondo, rivelando con forza ciò che per molti era già un sospetto consolidato: il glifosato è cancerogeno. Non “potenzialmente”. Non “probabilmente”. Ma cancerogeno, punto.
Il più grande studio mai condotto
Pubblicato su Environmental Health, lo studio è frutto di oltre dieci anni di lavoro e coinvolge istituzioni scientifiche di altissimo livello: oltre al Ramazzini, partecipano il Boston College e la Icahn School of Medicine di New York. Con più di 1.000 ratti seguiti per due anni, si tratta della più estesa indagine mai condotta sugli effetti del glifosato. L’erbicida è stato somministrato in dosi quotidiane, comprese quelle considerate “sicure” dalle autorità europee.
A tutte le dosi testate, gli animali hanno sviluppato tumori in modo statisticamente significativo. Le neoplasie – rare nella specie utilizzata – sono state rilevate in tessuti come pelle, fegato, reni, pancreas, ovaie, tiroide, sistema nervoso e, soprattutto, nel sistema emolinfopoietico: le leucemie sono risultate le patologie più frequenti, con decessi in molti casi precoci, già prima dell’anno di età del ratto (l’equivalente di 35-40 anni umani). Un’anomalia che, sottolineano i ricercatori, non era mai stata osservata in oltre 1.600 ratti testimoni esaminati in studi precedenti.
Una svolta anche statistica
La portata di questi dati non è solo medica ma anche metodologica. Uno dei nodi storici del dibattito era proprio l’interpretazione statistica degli studi animali: per il Centro internazionale di ricerca sul cancro (CIRC), le prove erano già sufficienti nel 2015 per classificare il glifosato come “probabile cancerogeno”. Per le agenzie europee ed americane, no. Ora la nuova ricerca fornisce dati non solo inediti ma anche impossibili da ignorare: “L’aumento dei casi di tumore è statisticamente significativo e correlato alla dose ricevuta”, ha affermato Kurt Straif, già responsabile del programma di classificazione dei cancerogeni al CIRC, oggi nel consiglio scientifico dell’Istituto Ramazzini. “Le prove sono più solide che mai”.
Slow Food: “Subito lo stop”
Alla luce di questi risultati, Slow Food Italia ha lanciato un appello senza mezzi termini. “Di fronte a queste evidenze chiediamo al Governo italiano e alla Commissione Europea di vietare immediatamente l’uso del glifosato”, ha dichiarato Barbara Nappini, presidente dell’associazione. “La salute e la vita umana non possono essere subordinate agli interessi dell’agrobusiness. Serve uno stop immediato alla vendita e alla produzione di glifosato, anche per l’export”.
È una presa di posizione netta, che punta a scuotere l’indifferenza politica accumulata nel tempo. Perché la storia del glifosato non è solo una questione scientifica, ma anche di equilibri economici e resistenze regolatorie. Nel 2023, nonostante il parere del CIRC e la contrarietà di diversi Stati membri, la Commissione europea ha rinnovato l’autorizzazione all’erbicida per altri dieci anni.
Un veleno ubiquitario
Introdotto negli anni ’70 dalla Monsanto (poi acquisita da Bayer), il glifosato è un diserbante sistemico che in poche ore si diffonde in tutta la pianta e si deposita nel suolo, dove può restare attivo per anni. È usato in tutto il mondo per eliminare le erbe infestanti, ma anche per essiccare precocemente le colture, in particolare il grano. La conseguenza? Lo ritroviamo nel cibo, nell’acqua e perfino nell’aria. Intossica i suoli, inquina le falde acquifere, e compromette la biodiversità.
“Ringraziamo la dottoressa Fiorella Belpoggi e tutto lo staff del Ramazzini per il coraggio e la dedizione con cui hanno condotto questa ricerca”, ha concluso Nappini. “Ora però servono decisioni politiche rapide e responsabili. Ogni ulteriore rinvio sarebbe una resa incondizionata agli interessi delle lobby e un atto di complicità verso nuovi danni alla salute pubblica”.
La palla alla politica
L’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha affermato di non aver potuto accedere ai dati completi dello studio prima della pubblicazione. Ma ora che la ricerca è stata ufficialmente sottoposta a peer review, come chiarito dal coordinatore Daniele Mandrioli, “tutte le informazioni saranno messe a disposizione delle autorità”.